Gli abbracci spezzati (Los abrazos rotos), Warner Bros.
Gli abbracci spezzati (Los abrazos rotos), Warner Bros.

15 anni fa, il 18 marzo 2009, usciva nelle sale Gli Abbracci Spezzati (Los Abrazos Rotos), scritto e diretto da Pedro Almodóvar. Melodrammatico affresco di una storia d’amore che squarcia il cinema in molti suoi aspetti, il film di Almodóvar è un tributo ai maestri della settima arte che lo hanno formato.

Viaggio nel set del passato

Il film mette in scena una narrazione gotica e melodrammatica: la storia di Mateo Blanco (Lluís Homar), ex regista cieco che si è ritirato dal mondo del cinema e ora scrive sceneggiature con lo pseudonimo di Harry Caine, aiutato solo dall’amica Judit (Blanca Portillo) e dal figlio di lei Diego (Tamar Novas).

Quando però si ripresenta una vecchia conoscenza di Mateo e Judit, Ernesto Martel Junior (Rubén Ochandiano), riaffiora tra loro una vecchia vicenda sepolta che ruota intorno ad una misteriosa donna, Magdalena “Lena” Rivero (Penélope Cruz), e all’appena defunto magnate Ernesto Martel (José Luis Gómez).

La trama viaggia costantemente tra passato e presente, nelle scene come nei racconti, costituendosi per lo spettatore come un giallo rovesciato; qui si intravede la natura gotica e torbida della storia d’amore che legava i tre personaggi, Mateo, Ernesto e Lena, nel classico triangolo amoroso. Attorno ai fuochi della loro relazione, sentimentale e professionale, danzano i personaggi secondari di Judit e di Ernesto Junior, che sono quelli che meglio comprendono la storia che poi verrà raccontata da Mateo, ma svelata da loro.

L’occhio cinematografico è padrone della verità sul destino di Lena, e della trama stessa, visto che Lena e Mateo si conoscono grazie ai provini per il suo nuovo film, Chicas y maletas (Ragazze e valigie), parodia di Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988). Assistiamo ad un processo di mise en abyme ad anello, poiché Gli abbracci spezzati racconta un presente nel quale ascoltiamo una storia del passato che ruota attorno ad un film, quel Chicas y maletas che funge da collegamento tra tutti i poli cronologici e i protagonisti.

Dal cinema al cinema

La natura autobiografica dell’opera di Almodóvar raggiunge dei virtuosismi didattici nei film ambientati in un contesto cinematografico. In questo modo non solo conosciamo le storie che il regista ama raccontarci, ma anche le sua cultura e le sue influenze cinematografiche sempre sapientemente orchestrate.

Oltre ai film che vengono citati nell’opera stessa, da Viaggio in Italia (1954) di Rossellini e Ascensore per il patibolo di Louis Malle, il regista cita sé stesso e il suo film più famoso degli anni ‘80. Ma è soprattutto il cinema italiano ad essere preponderante: dal Rossellini dei film con Ingrid Bergman, al Fellini grottesco e sensuale di (1963), al Visconti di Ossessione (1943) e di Rocco e i suoi fratelli (1960).

Notevole poi è l’influenza nelle scene a Lanzarote di Antonioni e dei suoi paesaggi sconsolati e desertici, specialmente quelli de L’eclisse (1962), così come c’è un forte richiamo a Blow-Up (1966) nell’uso che si fa per tutto il film della fotografia. Forti richiami al melodramma di Sirk si avvertono nelle scene di Lena ed Ernesto padre, che però vengono scavate sempre di più dalla tensione, diventando così una curiosa ma efficace miscela di pathos sirkiano e thriller hitchcockiano.

Ritratto della diva da giovane

La nostra fortuna come cinefili è quella di non essere mai a corto di stelle da rimirare. Penélope Cruz, 50 anni questo 28 aprile, si è confermata a fine anni novanta come una delle migliori attrici europee della sua generazione, con film come Abre los ojos (1997) di Alejandro Amenábar, La niña de tus ojos (1998) di Fernando Trueba e Todo sobre mi madre (1999) dello stesso Almodóvar. Nei primi anni duemila la sua carriera, con l’arrivo ad Hollywood, conquista l’altro lato dell’Atlantico e poi tutto il mondo, alternando fino a oggi blockbuster e film d’autore, dimostrando così una versatilità magistrale; Penelope Cruz è una delle attrici più importanti del XXI secolo.

La Spagna, la sua casa e culla cinematografica, cui l’attrice è sempre rimasta fedele, è il luogo dove ha avuto maggior occasioni di mostrare il suo talento, in particolare nelle opere di uno dei suoi più amati collaboratori e maestri, Almodóvar, che per lei ha scritto ruoli intensi e memorabili.

Nelle opere del regista che la vedono come protagonista c’è sempre uno spessore ulteriore, una nota delicata, sensuale e virtuosa che l’attrice incarna in ogni parola e gesto, scontrandosi qualche volta con il grottesco abissale che popola l’universo almodovariano. In esse però l’abilità registica di dipingere sentimenti e passioni vive soprattutto grazie alle doti recitative di lei, fine interprete di alcuni dei ritratti femminili più belli degli ultimi trent’anni.

Non ho fatto niente di cui vergognarmi. E non ho niente da nascondere.

Lena (Penélope Cruz)

L’autore in un sogno fatto di carne

La poetica di Almodóvar è “vitale”, e quanto più forte è l’elemento drammatico e sentimentale nei suoi film tanto più il pubblico sarà diviso per le stesse scene, con alcuni che straniati rideranno in modo amaro, e altri che saranno appassionati in lacrime; nel migliore dei casi lo stesso spettatore alternerà riso e lacrime finendo per essere devastato sensorialmente dall’opera.

Il comico e il tragico si fondono in una serie di affreschi della vita umana, rappresentata mediante situazioni spesso paradossali ed estremamente melodrammatiche (efficace binomio per un cinema non politicamente corretto).

Le sequenze di Almodóvar oscillano tra il realismo più forte e simpatetico possibile, e il bizzarro ironico e risibile, generando così nel pubblico una somma partecipazione emotiva e/o un’isteria che sfocia in un riso dolente. I suoi film toccano corde segrete, repellendo lo spettatore, disturbandolo, ma generando sempre nuovi fedelissimi proseliti che riescono a intravedere il gioco che mette in atto.

La biografia dei sentimenti è lo specchio della sua opera, c’è sempre molto del suo spettro emotivo e biografico nelle sue opere, specialmente in quelle che parlano del cinema stesso, dove il regista combina influenze della settima arte con emozioni e sentimenti personali. E così nel “vitale” i suoi film viaggiano con una serenità invidiabile, legati tra loro, legati al cinema e soprattutto legati al regista/autore stesso.

Il tema non è la meschinità dello scrittore. Ma la forza del figlio di sopravvivere senza alcun rancore per l’uomo che l’ha ignorato per tutta la vita.

Mateo

In breve

Gli abbracci spezzati è un film ricco di ispirazioni, di emozioni, semplice nella struttura e grottesco nelle pieghe narrative, vitale. La sua visione è un bagno di emozioni che consiglio fortemente a tutti.

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

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