Barry Jenkins e il suo Moonlight rappresentano un punto di svolta nel cinema nero e contemporaneo: è questa la tesi principale di Kind of Blue.
Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano è il nuovo volume della Collana Fotogrammi di Edizioni Bietti, scritto da Marzia Gandolfi. È l’ottavo, per la precisione, pubblicato dopo il saggio di Lapo Gresleri di cui abbiamo parlato qualche settimana fa. Proprio a differenza di quest’ultimo, la prospettiva di Gandolfi rimane attenta a evitare l’uso del termine afroamericano (sostituendolo con nero) proprio per non entrare nel dualismo conflittuale della doppia identità, formalizzata da WEB Du Bois.
Kind of Blue, come suggerisce anche il titolo che rimanda al blues di Miles Davis, è infatti una riflessione lontana dalla resistenza attiva, lontana dalla lotta esplicita. Incentrata sulle pause, sui silenzi, sulla quiete e la contemplazione degli eroi. Tutte caratteristiche perfettamente assimilabili allo stile registico di Jenkins e all’esperienza spettatoriale del suo Moonlight.
Per comprenderlo pienamente, tuttavia, si può rendere necessario un excursus storico del cinema black, in grado di contestualizzare l’eccezionalità di Jenkins nel panorama del cinema nero. Marzia Gandolfi infatti decide di inserire questo percorso al centro del suo saggio, in modo da basarsi su di esso per le premesse e le conclusioni.
L’analisi di Moonlight in Kind of Blue
Molto interessante è comunque l’analisi critica finale, da cui si evince la natura lirica e poetica del film, a partire dall’inquadratura-simbolo di Jenkins: i Primi Piani elevati al rango di ritratto introspettivo [Gandolfi, p. 48].
Nel realismo onirico e blue di Jenkins, afferma Gandolfi, non serve nemmeno fare troppo rumore. Tutto, a partire dalla bellezza di questa Miami dai colori pastello, è evidenza, senza dimostrazione. È la ferrea volontà di riportare al centro dell’inquadratura i volti e i corpi che la Storia ha sistematicamente ricacciato fuori. Non c’è la militanza splendente ed esuberante di Spike Lee (p.46), ma qualcosa di diverso che trova il modo di toccare corde universali. Come spiega Gandolfi, ciò che rende così unico Moonlight è il fatto che non si senta obbligato a spiegarci o dirci nulla sul razzismo o sull’America (p.42). Racconta una storia estremamente intima e personale che trova il suo spazio tra la resistenza e la protesta, in una terza via in cui il soggetto nero né si ribella né subisce. Semplicemente esiste.
L’autrice. Marzia Gandolfi scrive su MyMovies, Il Ragazzo Selvaggio e La Rivista del Cinematografo. Ha partecipato a volumi collettivi su Marco Bellocchio, Claude Lelouch, Patrice Leconte. Suoi contributi si trovano anche nel dizionario Il grande cinema italiano o in Cinema senza fine. Un viaggio cinefilo attraverso 25 film e Romanzo popolare. Ha collaborato al libro Ieri, oggi e domani. Il cinema di genere in Italia e al n.172 della rivista Engramma: Marco Bellocchio. L’arte della messa in scena.
Ringraziamo Edizioni Bietti per averci dato la possibilità di leggere Kind of Blue. Per ulteriori informazioni, potete consultare il sito ufficiale della casa editrice.