L’Orvieto Cinema Fest 2024 torna dal 22 al 29 settembre 2024 con un ricco concorso internazionale di cortometraggi. Anche quest’anno ve lo raccontiamo su Framed Magazine con una selezione quotidiana di film in programma.
I cortometraggi che abbiamo visto all’Orvieto Cinema Fest 2024 il 27 settembre
Via delle Rose 36 di Kristian Xipolias (Italia, 15′)
Si chiama Rita, è la protagonista (interpretata da un’intensa Laura Pizzirani) del corto italo-greco di Kristan Xipolias, ma potrebbe esserlo anche di un film di Ken Loach, o dei fratelli Dardenne.
Cresce da sola una bambina, mentre lavora per uno dei tanti padroncini di un sistema economico marcio. Che le ride in faccia quando, in uno slancio di esasperazione e insieme di fiducia, la donna domanda un vero contratto. E lei, anziché rimanere nel suo limbo di sfruttamento, se ne va. Così, anziché il lieto fine prospettato dalla retorica di una guru motivazionale, per Rita e per la figlia (che resta in silenzio, ma assorbe tutto) inizia un’odissea di disoccupazione e spese da pagare. Ma la luce fredda e indifferente di una società ingiusta, alienata e precaria non sembra far appassire, malgrado tutto, la sua voglia di vivere (meglio). E di lib(e)rare lo sguardo oltre il pantano dell’Italia peggiore.
A beautiful day di Stefano Obino (Germania, 19′)
Nel Kurdistan iracheno la guerra contro l’Isis ha cacciato oltre 2 milioni di persone, metà delle quali minori di diciotto anni, in un presente sospeso. Che cos’è, per loro, un “bel giorno”? Ce lo suggeriscono le immagini del corto documentario di Stefano Obino: i giochi col pallone o con le bambole ritagliati tra macerie e polvere, i suoni e i corpi di una performance, i pensieri e le preghiere di una donna che invoca un futuro di serenità.
Dal Medio Oriente dove in questi anni le potenze del mondo hanno giocato e giocano la loro oscena partita razzista, colonialista e genocida sulla pelle di persone e popoli, A Beautiful Day ci parla, con la forza icastica ed evocativa del miglior cinema del reale, della determinazione ostinata a rinascere. Dalla notte, dal deserto, dalla morte. Dalla condanna ad essere vittime di una Storia sbagliata.
Emanuele Bucci
Almost forgotten di Dimitri Mihajlovic e Miguel Lima (Portogallo, 9′)
Almost forgotten è un sogno dai contorni indefiniti, un viaggio nella memoria di una casa e di chi l’abitava. Una donna si muove nei suoi ricordi d’infanzia, seguendo il volo vorticoso di un passero, proiettando ricordi, persone, traumi. Nella ricerca di ricostruire il passato del luogo in cui viveva suo nonno, si perde nelle ombre e nei corridoi.
Lo stile suggestiona lo sguardo, lo porta a confondere i meandri di una casa dove ogni stanza ha qualcosa da raccontare, l’animazione crea un dinamismo visivo che si tramuta in spinta emotiva, trasportando chi guarda in angoli remoti, in ricordi sfocati, nostalgici e spesso dolorosi.
Silvia Pezzopane
Mefite di Beatrice Surano (Italia, 15′)
Esiste più di un modo per raccontare una storia attraverso il cinema documentario, lo ricorda sempre il lavoro straordinario di Roberto Minervini, per esempio. E forse è al suo sguardo poetico ma realistico che si ispira Beatrice Surano per Mefite.
Il film, ambientato nella Valle d’Ansanto, una piccolo località dell’Irpinia nota per la sua sorgente di mefite (argilla), appunto, è una riflessione sul rapporto fra uomo e natura. Nello specifico, è la denuncia – attraverso delle parti recitate ma soprattutto attraverso le immagini – di un progetto di energia eolica realizzato senza tener conto delle gravi conseguenze sull’ecosistema della valle.
Peipei di Shile Feng (Belgio, 17′)
Alla ricerca di un suo posto nel mondo, Peipei (Yuching Tsai) è invisibile, ai margini di una grande città come Bruxelles. Senza documenti, è una massaggiatrice cinese, anche a domicilio. È così che riesce a sopravvivere giorno dopo giorno, fino a quando è costretta a una rapida scelta, per salvarsi la vita.
A raccontarlo è lei stessa, attraverso lo sguardo spaventato ma lucido di Yuching Tsai, che riesce nel non facile compito di guardare negli occhi lo spettatore e convincerlo ad attraversare l’inferno insieme a lei. E rassicurarlo di aver preso comunque la decisione migliore.
Valeria Verbaro
Los Mosquitos di Nicole Chi Amén (Costa Rica, USA, 15′)
Aby (Abigal Hernandez) è il ritratto dell’irrequietezza giovanile. Come adolescente hondureña trasferitasi con parte della famiglia negli Stati Uniti, dove è arrivata da poco anche la sua cugina più piccola Natalia (Natalia Hernandez), la sua vita è stretta, combattuta tra il nuovo che potrebbe avere e le tradizioni a cui ancora è attaccata la sua badante, Zia Magda (Magdalena Hernandez).
Aby vorrebbe entrare nel vortice del “sogno americano”, senza dare corda alle speranze di Natalia di risentire la madre. Nonostante il rapporto turbolento, fatto di sfuriate ma anche di tenerezze, si vede che il legame che le unisce è solido e tenuto in grande conto da entrambe. La fotografia lavora in sinergia con la regia, mostrandoci un conflitto costante tra smania e calma, tra impazienza egoistica e gentilezza familiare.
Francesco Gianfelici
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