The Blood Brothers, diretto da Cheh Chang
The Blood Brothers, diretto da Cheh Chang

Uscito nei cinema il 24 febbraio del 1973, The Blood Brothers è un film d’azione del regista cinese Chang Cheh.

Con tre grandi star del cinema di arti marziali di Hong Kong e una storia d’avventura coronata da temi quali l’amicizia e l’ambizione, Chang Cheh riesce a realizzare una piccola perla di quel cinema d’azione asiatico che invase il mondo all’inizio degli anni ’70.

Il vento che spazza la collina

Il film romanza un fatto storico avvenuto in Cina durante il XIX secolo. Chang Wen-hsiang (David Chiang) è imputato dell’uccisione del generale Ma Hsin-Yi (Ti Lung). Al processo, tramite il resoconto scritto che fornisce alla corte, viene ricostruita la sua storia.

Quando Chang e suo fratello Huang Chung (Chen Kuan-tai) erano solo due banditi fra le montagne, incontrarono un giovane Ma Hsin-Yi. Presto tra i tre si instaurò un’amicizia fraterna. Usando le loro abilità nelle arti marziali sconfissero una banda di predoni e ne diventarono i capi e gli istruttori, stabilendosi in una specie di fortezza-scuola.

Ma i sogni di grandezza di Ma Hsin-Yi lo portarono lontano da i due amici e dalla moglie di Huang, Mi Lan (Ching Li), infatuata dell’uomo e della sua ambizione. In poco tempo divenne generale dell’esercito imperiale cinese, richiamando infine i fratelli e gli adepti perché partecipassero alle sue campagne militari. Tuttavia il rango sociale che lo divideva dai suoi vecchi amici era ormai troppo grande.

Una sera Ma Hsin-Yi cedette all’amore ricambiato che provava per Mi Lan. In seguito fece assassinare Huang Chung per non turbare la sua carriera in ascesa con i pettegolezzi che circolavano a corte sui vizi del fratello. Chang Wen-hsiang ha dunque assassinato il generale per vendetta, ma alla fine del racconto viene giudicato colpevole e giustiziato.

Arti marziali, ma non solo

Mettendo al centro del film la trama, e non l’azione stessa, Chang Cheh costruisce un film in grado di risultare a distanza di 50 anni ancora appassionante e coinvolgente. Le arti marziali sono il fulcro dell’azione visiva, ma nella trama potrebbero essere sostituite con dei fioretti o dei revolver. Dettano l’intrattenimento, non la storia.

Così una trama realistica, piena di violenza ma scevra di melensaggini, non si fa schiacciare dai combattimenti.

La regia abile di Cheh valorizza sia i centri nevralgici della trama che i meravigliosi scontri coreografati magnificamente.

L’azione divampa tra le mani dei tre protagonisti maschili, volti di una generazione e di un cinema troppo spesso dimenticato.

Tutti e tre furono star acclamatissime del cinema di arti marziali di quegli anni, che influenzò il cinema asiatico successivo e anche registi d’oltreoceano; uno su tutti Quentin Tarantino.

Non quattro furie, ma quattro esseri umani

Il cinema orientale ha il pregio di non mostrare quasi mai la lotta manichea del bene contro il male. Il realismo dei personaggi non trascina mai la storia nella banalità. Nessuno di loro è pienamente nel giusto, e quindi nessuno di loro ha più ragione di un altro o più biasimo da parte di noi spettatori. C’è un’umanità che gronda sangue, violenza ed egoismo più che ideali ed eroismo, e così Chang Cheh costruisce dei personaggi umani, credibili, tutti con vizi e virtù.

Huang Chang è un donnaiolo, assiduo frequentatore di locande e bordelli. Chang Wen-hsiang è forse segretamente innamorato della cognata, oltre ad essere un bandito e un guerriero con le mani insanguinate.

Il dramma più vivo però si coagula intorno al carismatico Ma Hsing Yi, un personaggio shakespeariano nella sua concezione del potere e delle relazioni. Un uomo che sull’altare della sua ambizione sacrifica il legame con i fratelli e l’amore per Mi Lan.

L’infelice moglie di Huang ha poi il ruolo tragico per eccellenza: quello di testimone costretta a vivere e a ricordare i tristi eventi accaduti. La sua breve spiegazione dell’infelice matrimonio, contratto in giovane età con Huang Chung, ricorda molto le poche, graffianti parole della madre di Pedro al funzionario civile ne I figli della violenza (Los Olvidados, 1950) di Luis Bunuel.

Non sono due righe scritte solo per giustificare un personaggio, ma due frasi pesanti e dolorose, che vengono pronunciate con rammarico e amarezza, come riassunto di una condizione di vita.

Maestro di un genere e padre di un cinema

Bisogna prima di tutto specificare che molti dei film che oggi consideriamo cinesi furono prodotti a Taiwan o a Hong Kong, quando la città era un’entità autonoma rispetto al grande paese comunista.

I film di Bruce Lee e Jackie Chan sono di Hong Kong, come quelli di John Woo, Tsui Hark e Ringo Lam. Fino all’inizio degli anni ’90 il cinema “cinese” era principalmente quello di Hong Kong e di Taiwan. Chang Cheh è quindi un regista di Hong Kong.

Il suo nome ha un peso nel cinema hongkonghese pari a quello che ha John Ford in quello americano. Entrambi plasmarono e divennero dei massimi esponenti di un genere in particolare, l’azione Cheh e il western Ford, ma attraverso di esso influenzarono tutto il cinema.

Chang Cheh divenne alla fine degli anni ‘60 il regista di punta dello Studio Shaw, celebre casa di produzione di film wuxia e d’azione.

Ad ispirarlo e influenzarlo furono registi come Sergio Leone, Sam Peckinpah, Akira Kurosawa e Hideo Gosha, e sebbene i suoi film oggi appaiano truculenti, la sua estetica della violenza fu però fedele alla sua natura di rivoluzionario. Cheh era infatti un comunista deluso, profondamente amareggiato dalla violenza sanguinaria che si era consumata e si consumava nella Cina comunista. Erano gli anni della Rivoluzione culturale di Mao Tse-tung.

La sua iperviolenza rifletteva una sua sfiducia rispetto alla società, e sottolineava una visione realistica della morte, della sofferenza e dei legami tra le persone.

Con film come Mantieni l’odio per la tua vendetta (1967), La sfida degli invincibili campioni (1969), I tredici figli del drago verde (1970), La mano sinistra della violenza (1971), The Blood Brothers e Le furie umane del kung fu (1978) ha scritto il suo nome nell’Olimpo del cinema d’azione mondiale. Insieme al collega regista King Hu rimane uno dei più grandi registi di wuxia e d’azione di tutti i tempi.

In breve

Uno dei pochi film che non si è visto mutare il titolo in un’iperbolica insegna strappa biglietti. The Blood Brothers è un disegno politico molto credibile e avvincente, intriso di azione, dramma umano, realismo e violenza. Tesoro segreto di un cinema di grande spessore troppo a lungo dimenticato, la sua è una visione più che consigliata.

Potete trovare il film in streaming su Amazon Prime Video.

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

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