Un altro giorno d'amore

“Il sogno della mia generazione finisce col G8 di Genova… lì siamo stati sconfitti per sempre”.

È a partire da questa ammissione rassegnata che si può leggere Un altro giorno d’amore, il documentario firmato da Giulia D’Amato, come un percorso attraverso il quale riuscire a smentirla.

È la stessa Giulia a pronunciare queste parole, in un momento profondo di sfogo con suo padre, durante il difficile percorso di ricostruzione del proprio passato, fatto con lo scopo di capire il proprio presente. Capire chi si è stati per capire chi si è oggi: ecco l’obiettivo di questo documentario nel quale, però, il percorso personale si scopre percorso collettivo, di una intera generazione, smentendo la sua ammissione di sconfitta.

Il percorso: scoperta, smentita, rinascita

Ed è una smentita che passa attraverso la scoperta di una collettività che va oltre la divisione tra generazioni. Perché è unita da una passione che non passa col tempo, la passione per la lotta contro l’ingiustizia, per una rivoluzione che realizzi il sogno di un mondo migliore.

Perché, in fondo, è proprio questa passione a spingere Giulia a ricercare se stessa e il proprio passato e a farle capire non è sola. Infine perché è la stessa passione che ha mosso Davide Rosci e che lo ha salvato dall’annientamento cui costringe la prigione, attraverso le migliaia di lettere di sostegno ricevute quotidianamente da chi condivide i suoi ideali. Perché è anche la stessa passione che spinge  Mariapia Merzagora Parodi a sopravvivere alla morte di suo figlio Edoardo (amico di Carlo Giuliani) anche qui grazie a chi con lei ne condivide il ricordo.

Il canto della protesta 

Giulia si muove e ci fa muovere in questa infinita passione, scoprendo che c’è pochissima distanza tra lo stadio, il calcio degli ultras e la piazza: lo stesso slancio collettivo e collettivista permette di estendere lo sguardo dalla curva del Perugia al G8 di Genova. Certo, il percorso non è semplice, ammetterlo non lo è affatto, ma a renderlo più semplice c’è la musica: la colonna sonora originale della LGR – Lost Generation Records, 5 cover di celebri pezzi pop, tra gli ’80 e i ’90 riadattati in una chiave che definire punk sarebbe riduttivo, se si intendesse soltanto il genere musicale.

Perché L’Amour Toujours, Up Patriots to Arms, Dragostea Din Tei, Per Un’ora D’amore e Tu trovano delle interpretazioni che le trasformano in inni di rivolta, grazie ad artisti come Frontemare, Kimerica e Anna Soares. E grazie soprattutto a un montaggio che non si limita a usarle, ma che ne prende il ritmo per darlo alle immagini di repertorio, connettendo gli scontri nelle piazza di ieri e di oggi, dagli anni ’70 al G8 di Genova 2001. E così, immagini e musica provocano, producendo una intensa accusa sociale che colpisce la storia e la memoria dello spettatore con qualcosa che sente ardere dentro: passione, ideale politico, o semplicemente esistenziale, per un mondo migliore.

Una passione collettiva per una lotta continua

Qualcuno era comunista, cantava Gaber. E lo sarà sempre, se questo significa intraprendere una lotta continua contro le ingiustizie e affrontare ancora “un altro giorno d’amore”. Lo sarà sempre, perché non si smette mai di sentirsi umani. E non importa che sia nella curva di uno stadio o nella piazza in protesta: la collettività che scopre Giulia, in fondo, è l’umanità. E il suo percorso, qui, ci ricorda che ne siamo anche noi parte. Ecco perché la lotta continua sempre, il G8 di Genova è tutt’altro che una sconfitta irrimediabile: è un nuovo inizio, a partire dal quale niente più sarà come prima. Tranne la passione, quella collettiva, tranne l’umanità, tranne Giulia e ognuno di noi.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.

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