Watchmen (2009), Universal Pictures
Watchmen (2009), Universal Pictures

Parlare ora di un film come Watchmen è semplice; parlare di cosa significhi veramente Watchmen al giorno d’oggi, è complicato.

Zack Snyder ha adattato nel 2009 l’opera di Alan Moore che più di ogni altra ha rivoluzionato il mondo artistico e tematico del fumetto. Il film è di un discreto quasi brutale, capace di un’aderenza fedele in certi momenti, e di un vergognoso tradimento che mira a semplificare l’intrigo della storia e ad esaltare la giustizia privata. È certamente godibile, ma deve fare i conti con un’opera letteraria di una profondità e una lungimiranza incredibili.

Un comico è morto a New York

1986. È notte fonda a New York. Il vigilante mascherato Rorscharch (Jackie Earle Haley), l’unico che continua a operare clandestinamente nonostante le leggi anti-supereroi, si imbatte in un caso di omicidio. Edward Blake (Jeffrey Dean Morgan) è stato ucciso, non si conosce il colpevole né il movente. Però Rorscharch ha anche scoperto l’identità nascosta di Blake, ovverosia Il Comico, ex supereroe divenuto agente governativo in seguito al Decreto Keene che mise fuorilegge la giustizia privata dei sedicenti supereroi.

Rorscharch contatta allora tutti i suoi vecchi colleghi: Daniel Dreiberg / Gufo Notturno II (Patrick Wilson), Adrian Veidt / Ozymandias (Matthew Goode), e la coppia Laurie Juspeczyk/Spettro di Seta II (Malin Åkerman) e Jon Osterman/Dottor Manhattan (Billy Crudup). Perché venerdì notte un comico è morto a New York, e qualcuno sa perché: da questo omicidio viene innescata una delle storie più originali e rivoluzionarie del mondo letterario, poi tradotto in cinema.

Strada a due corsie

Il film riesce a mostrare una devota fedeltà a certe parti del fumetto, pur risentendo di una semplificazione verbale e di una regia votata eccessivamente all’azione. Però è decisamente nella risoluzione finale, parzialmente stravolta, che il film compie un distacco quasi abissale a livello tematico, e che solo superficialmente sembra essere molto simile alla controparte cartacea. L’opera di Snyder glorifica eccessivamente la violenza privata e la vendetta, anche in maniera ingenua e frustrante, riducendo drasticamente le riflessioni politiche e filosofiche che abbondano nel fumetto.

Se nelle pagine di Moore ogni azione è pesata a livello morale, politico e sociale, nel film questo aspetto viene sminuito, lasciando però pressoché inalterata la fabula dell’opera. Bisogna anche dire che Zack Snyder sa come incorniciare l’azione e rendere eleganti certi momenti, uno su tutti la resa dei conti finale nella piramide in Antartide. Certe sequenze come quella iniziale e quella del funerale, pur risentendo di un formato troppo vicino al videoclip, riescono a travolgere lo spettatore con dei giochi di montaggio veramente ben assemblati.

Per quanto riguarda la spinosa controversia sull’uso (o abuso) di ralenti, possiamo dire che visto che sono il suo marchio di fabbrica toglierli o ridurli sarebbe come mutilare il film del suo stile autoriale. Perché che ci piaccia o no, Zack Snyder è un autore, e nell’industria odierna è uno di quelli con il maggior potere decisionale e produttivo. Non si può dire che il film sia lento o vuoto, anzi scorre via come un fiume in piena, accendendo gli occhi del pubblico di emozioni e endorfine.

Chi sorveglia i sorveglianti? [Allerta Spoiler da qui in avanti]

Ci sono molteplici riflessioni nell’opera, ma quelle sulla giustizia e sulla violenza sono le principali. Nell’usare un approfondito e innovativo approccio storiografico al fumetto supereroistico, Moore ha dispiegato nella sua visione distopica del mondo il concetto di giustizia anche attraverso le principali ideologie politiche. A titolo esplicativo, una delle prima questioni affrontate, e tagliate nel film, è cosa fa di te un nazista. Edward Blake, che con il suo cinismo era moralmente distaccato dall’umanità, dai suoi problemi e soprattutto dalle sue regole civili e remore morali, ha lottato e servito il suo paese, ma compiendo atti atroci e mai puniti che hanno sostenuto l’ala più conservatrice e repressiva nel suo lungo e dispotico governo. Questo fa di lui un nazista? Perché Rorscharch, suo ammiratore, non esita a definirsi nazista a sua volta se il Comico viene reputato tale.

Moore, anarchico e raffinato pensatore, non esita ad accostare le frange più estremiste dei repubblicani al nazismo: anche i nazisti, nella loro follia, credevano di perseguire la giustizia.

Da qui Moore dipana di fronte ai occhi vari tipi di giustizia e quindi di violenza, perché la prima si realizza necessariamente tramite la seconda, e Snyder cerca come può di seguirlo, ma qualche volta lascia che l’azione soffochi le parole.

L’impasse esistenziale degli impotenti

Il Comico è un uomo dalla profondità mostruosa, un lucido folle che ha indagato il comportamento malvagio dell’essere umano, dal più piccolo ladruncolo al conflitto globale più sanguinoso della storia, e questo abisso del male lo ha plasmato. Per lui la giustizia umana non esiste e non si può realizzare: gli atti suoi o dei suoi colleghi sono perfettamente inutili e non cambieranno nulla. Gli resta solo da farsi una risata su questa follia, salvo poi smarrirsi fino alla morte di fronte all’utopia sanguinaria, ma efficace di Veidt, che lo porterà dall’essere un comico all’essere semplicemente disoccupato.

Molto più classici sono i concetti di giustizia dei suoi ex colleghi. Rorscharch, un uomo senza compromessi che persegue la giustizia che lo ha divorato contro ogni parere e ogni conseguenza, ha rinunciato al suo lato umano per diventare una sorta di giustizia vivente. Personalmente lo ritengo molto simile al poliziotto Javert de I Miserabili di Hugo, solamente più tenace e risoluto.

Laurie e Daniel invece sono due individui normali che convivono con le loro ansie e i loro desideri in un mondo che è molto più grande di loro. Sono le loro preghiere, le preoccupazioni, e soprattutto i loro dialoghi, vero punto focale tematico di un’umanità che teneramente si ricerca, per confortarsi e superare i tristi eventi che accadono e che non si ha il potere di fermare. Emblematica in questo senso è la scena, nel fumetto, del loro incontro amoroso dopo aver giurato di non rivelare il piano segreto di Adrian: “Voglio che mi ami perché non siamo morti” gli dice Laurie. Snyder, pur affidando a loro il film, anziché mostrarcene la profonda umanità, si limita a trasformarli nei vettori per la trama e in due allegri protagonisti di scazzottate e duelli (ahimè).

Il Dio e l’uomo

Ozymandias e il Dottor Manhatthan sono due facce speculari di un ragionamento sull’umanità e il suo destino. Il fu Jon Osterman ha acquisito dei poteri vicini a quelli di un Dio come possiamo figurarcelo, e questo lo ha portato lentamente a dissociarsi dall’umanità, a diventare più simile al Comico, ma senza neanche il gusto cinico della risata sulle macerie rimaste, osservatore privo di emozioni e interesse per ciò che fu la sua storia.

Snyder, tranne che in certi momenti, tratteggia con dovizia di particolari questo personaggio meraviglioso. Perché Moore non gli dona solo i poteri di un Dio, ma anche i pensieri e i problemi di un Dio in senso filosofico. Per uno che vede contemporaneamente il passato, il presente e il futuro, come può esserci una salvezza per l’umanità, e come può lui mantenersi parte di essa?

L’illustrazione di Doctor Manhattan di Massimo Pastore

Ozymandias invece è quello che narrativamente sarebbe il cattivo, ma non ha nulla del cattivo supereroistico classico: la sua non è soltanto una ricerca di pace per il mondo, ma anche un piano che si rivela vincente, anche se a un prezzo drastico.

Lasciar credere che esista una fantomatica razza aliena che diventerà il deterrente alieno alle guerre intestine: nel film questo ruolo lo assume il Dottor Manhatthan stesso, tramite un piano molto simile ma semplificato rispetto alla versione cartacea. È bello come il progetto di Veidt, la costruzione di un nemico estraneo contro cui l’umanità si coalizzerà, lasci intendere che non ci sia da parte degli esseri umani una vera maturità, esiste solo un nemico più grande e spaventoso che potrebbe colpire in qualunque momento.

Personalmente apprezzo la scelta di Snyder di rendere il Dottor Manhatthan, concreta incarnazione di Dio e del potere distruttivo dell’atomica, il nemico finale dell’uomo in luogo di una fantomatica razza aliena. È nella bonarietà ingenua che Snyder usa per tratteggiare i vertici governativi americani, carnefici non meno colpevoli moralmente di un sanguinario assassino come Blake, che mi trovo in disaccordo. In ultima analisi troppe scene veramente significative del finale del fumetto sono state ridotte o eliminate nel film, lasciando una degna conclusione alla sfera dell’azione ma non a quella filosofica.

Watchmen fino a oggi

Mi sento di menzionare soltanto tre delle molte opere che oggi godono di successo e che sono profondamente debitrici della rivoluzione tematica di Watchmen: Invincible, The Boys e Shingeki no Kyojin. Inutile dire come la pletora di violenze, mentali e fisiche, il realismo stomachevole dei personaggi e delle istituzioni, siano stati la base principale di queste, ma decisamente l’erede morale di Watchmen, per quanto riguarda i discorsi sulla giustizia e la violenza, mi sento di affermare che sia proprio il manga dark fantasy postapocalittico Shingeki no Kyojin (L’attacco dei giganti).

Isayama, che non nega di essersi ispirato al lavoro di Moore, in certi aspetti è riuscito addirittura a implementarlo. Con il personaggio di Reiner Braun ci ha mostrato un genocida speculare a Ozymandias che vive risentendo di traumi psichici indicibili, ha praticamente illustrato le conseguenze mentali delle azioni di Veidt per la sua persona. Invece nello scontro finale del manga ci ha mostrato come l’umanità, anche di fronte al suo definitivo carnefice, è ancora desiderosa di abbattere i propri simili, di distruggersi da sola.

Terrorizza come per queste tre opere, certo molto più votate al fantastico rispetto a Watchmen, l’aggettivo distopico non venga mai usato nella tipica descrizione che se ne dà, come se i temi di Watchmen anziché insegnarci qualcosa fossero divenuti la base narrativa del nostro intrattenimento, ma anche la realtà in cui viviamo. Le ambientazioni di Watchmen sono diventati concrete, la paranoia che all’epoca prendeva piede nella società oggi è un’ombra che accompagna ogni essere umano.

Il miracolo termodinamico che è la vita

All’ombra dei fatti accaduti in Italia nell’ultimo mese la questione della nascita di Laurie è forse l’argomento più spinoso da poter trattare, ma non farlo significherebbe voltare le spalle alla realtà, che poi è un altro dei temi cardine dell’opera. Dopo aver assistito all’operare del male nel mondo non si può più fuggire alla lotta contro di esso.

Laurie è figlia del Comico e di Sally Jupiter: figlia del loro secondo “incontro” amoroso (il primo fu un tentato stupro). E qui sorge la domanda che ogni spettatore/lettore si fa di fronte all’opera: perché Sally è tornata dal Comico? Ogni ragionamento sulla questione secondo me crolla di fronte a quello che Laurie dice a sua madre (nel fumetto): “Mamma non ha importanza. La vita ci porta in posti strani, facciamo cosa strane, e… a volte non si riesce a parlarne. So cosa si prova. Ti voglio bene, mamma. Non hai mai sbagliato niente con me.”

Laurie fatica a comprendere le motivazioni della madre, del suo ritorno fra le braccia del comico, ma poi sceglie di accettare la sua scelta. Comprende che la madre ha amato quell’uomo, e che lei è nata da quell’amore, non dalla violenza, e non dimentichiamoci che Sally ha scelto di tenere e crescere amorevolmente la figlia avuta col Comico invece di abortire. Non credo che un autore come Moore avrebbe avuto difficoltà a inserire in un’opera come Watchmen un aborto se avesse voluto, e forse se lo stupro si fosse consumato certo ci sarebbe stato. Ma di fronte a…l’amore?

Non dobbiamo soprattutto dimenticare la profonda umanità di Sally che lotta contro le sue stesse azioni: è incapace fino in fondo di perdonarsi il suo sentimento e vive tormentata tra il passato e il presente. Qualcuno potrebbe definire questo “amore” come abuso psicologico, e non sarò certo io a dire che ha torto.

Però è palese che Alan Moore inserisca qui un discorso veramente profondo che impatta la moralità comune. Qualunque analisi psicologica, morale o sociale noi vogliamo discutere sul comportamento di Sally, si dissolve di fronte alla sua scelta spontanea di tornare da lui, decisa magari a concedere a quella sua cotta giovanile una seconda opportunità. E da questo libero atto d’amore, da questo perdono, da questo “miracolo termodinamico”, è nata Laurie.

In breve

Film, fumetto. Watchmen è veramente innovativo, profondo e rivoluzionario. Sebbene ritenga che l’opera originale sia nettamente superiore al film di Snyder, è pur vero che quest’ultimo è veramente godibile, rassicurante per certi suoi aspetti nonostante le molte libertà che si prende. Bastano le sequenze iniziali e del funerale del Comico per renderlo degno di una visione, che vi consiglio nella versione Ultimate Cut di 3 ore e 35 minuti.

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

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