In attesa della premiazione di stasera per Cannes 2022, vi consigliamo tre film firmati da registi in corsa per l’ambita Palma d’Oro. Riscopriamo Rosetta, dei fratelli Dardenne, che quest’anno hanno presentato Tori et Lokita, La promessa dell’assassino di David Cronenberg, che torna dopo qualche tempo a Cannes con Crimes of the Future, e Beau travail di Claire Denis, in concorso adesso con Stars at Noon.
Rosetta (1999), di Jean-Pierre e Luc Dardenne – Emanuele Bucci
È un film di corse e (ri)cadute, di corpi avvinghiati e silenzi frustra(n)ti, Rosetta, il lungometraggio che portò nel 1999 la prima Palma d’oro ai fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, che, nel 2022, tornano a Cannes con Tori et Lokita, per cantare gli affetti, i desideri e le coscienze dei figli minori di un sistema sociale ed economico malato. Come in quel film di oltre vent’anni fa, la cui vitalità inquieta batte oggi persino con più rabbia di ieri.
La rabbia della protagonista adolescente, le giornate divise tra la roulotte dove vive con la madre alcolista e la ricerca di un impiego che, ogni volta, si materializza per dissolversi poco dopo. Per la ragazza, (in)seguita da una macchina da presa mobile come un destino di precarietà, sono sogni abortiti di vite diverse, nell’era in cui il lavoro da riscatto diventa ricatto. E, nella guerra tra poveri che ne consegue, la vera posta in gioco è non sacrificare la propria integrità e umanità.
La promessa dell’assassino (Eastern Promises, 2007), di David Cronenberg – Silvia Pezzopane
I corpi significanti ed orrorifici di Cronenberg, che in film come Videodrome (1983) e eXistenZ (1999) ci avevano tolto il fiato, iniziano in una nuova fase della sua filmografia a comunicare tramite il loro insito silenzio, senza bisogno di sanguinare (non con fiumi di sangue perlomeno). La promessa dell’assassino, che arriva dopo A History of Violence (2005), conferma il sodalizio con l’attore Viggo Mortensen, qui nei panni di Nikolai Luzhin, autista di Semyon, gestore di un ristorante chiamato Trans-Siberian, in realtà membro della mafia russa. Implicato con dettagli che comprenderemo solo alla fine del film, Viggo/Nikolai “ripulisce” dove è necessario l’esito degli errori commessi soprattutto dal figlio di Semyon, Kirill (Vincent Cassel).
A causa della tragica morte di una quattordicenne durante il parto, comunicata alla “famiglia” dall’ostetrica Anna Khitrova (Naomi Watts), la verità inizia a riemergere. E il corpo di Nikolai stavolta, tatuato, in tensione, nudo, ferito, racconta a suo modo una storia di bugie e violenza, infida e nascosta dietro alle apparenze. Recuperatelo e poi date un’occhiata alle pagine del libro di Nicolai Lilin, Educazione siberiana, quei tatuaggi vi ossessioneranno.
Beau travail (1999), di Claire Denis – Michela Zedda
Galoup, ex sergente maggiore della Legione Straniera, ricorda il periodo passato nel Gibuti insieme alla sezione comandata da Bruno Forestier. La sua voce narrante abbozza la propria storia di rimorso e gelosia, mentre le immagini indugiano sulla tensione fisica di corpi allenati di continuo – ma privi di un nemico esterno da combattere. Liberamente tratto da Billy Budd, marinaio di Herman Melville, e ispirato nel personaggio di Forestier da Le Petit Soldat di Jean-Luc Godard, Beau Travail sceglie una traiettoria obliqua, curiosamente domestica ed intima, per raccontare una storia fatta di conflitti trattenuti e pulsioni dirottate. E se è vero che ogni uomo uccide la cosa che ama, qui lo fa con un senso del movimento che ci riempie di meraviglia preverbale.
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