Fall Out. Crediti: Courtesy of Prime Video
Fall Out. Crediti: Courtesy of Prime Video

Retrofuturismo e rifugi antiatomici, segreti internazionali e “zombie” in stile western: al primo posto in Italia tra i più visti di Amazon Prime Video, Fallout è la dimostrazione che gli adattamenti tratti dai videogiochi possono essere fatti bene, anzi più che bene, ma anche una conferma della nostra disperata passione per scenari distopici di macerie e di ristorato primitivismo, mostri post nucleari e complotti politico-economici da manuale.

Tratta dalla celebre serie di videogiochi, ha tutto ciò che si potrebbe chiedere: un’ambientazione affascinante, un futuro spaventosissimo (e in parte verificabile) e una grande linea umoristica che attraversa tutta la narrazione. Rilasciata in streaming lo scorso 10 aprile 2024 è ancora al numero uno nel catalogo Prime Video e questo perché rientra in un ricercato tipo di intrattenimento che si impegna tanto nell’estetica quanto nei contenuti, merce rarissima, specialmente se il punto di partenza è un medium videoludico.

Il mondo di Fallout

In una società dove lo stile degli anni ’50 si accompagna ad una tecnologia d’avanguardia, la fine della Seconda guerra mondiale ha lasciato il posto all’incubo di una guerra nucleare, che diventa una prospettiva sempre più possibile. È il 2077 quando i bombardamenti iniziano ad annientare le città.

La serie ci mostra gli effettivi risultati di questa distruzione 200 anni dopo, quando mentre in superficie regna una wasteland (la zona contaminata) devastata, dove le dinamiche della Frontiera sono tornate più dure che mai e nuovi ordini militati dilagano per ristabilire una parvenza di controllo, sottoterra l’illusione di una vita perfetta sopravvive nei Vault, dei rifugi antiatomici dove nessuno entra in contatto con il mondo esterno e tutto è gestito attraverso una surreale e funzionante democrazia. Questo finché Lucy MacLean (Ella Purnell), abitante del Vault 33 (dove è nata e cresciuta) non è costretta a lasciare il suo rassicurante sottosuolo per avventurarsi in ciò che rimane della California. L’obiettivo è salvare suo padre, il risultato è essere catapultata nella terrificante realtà dei fatti che mal si concilia all’atmosfera pacifica e incontaminata dei lussuosi e protetti Vault, colmi di segreti.

Sullo sfondo le macerie di ciò che rimane, in mezzo scontri e rivelazioni così sconcertanti da rimettere in discussione ogni convinzione della ragazza, nonché ridimensionare la sua ingenua e spudorata gentilezza nei confronti del prossimo, in sottofondo una colonna sonora vintage (che riprende molti dei brani dei videogiochi) che va da Johnny Cash a Glenn Miller, passando per Perry Como.

Fall Out. Crediti: Courtesy of Prime Video

Trovare la storia giusta per l’ambientazione videoludica

Realizzare un adattamento ben fatto di un videogioco non è per nulla facile, e lo sappiamo bene. A proiettare una luce di speranza è stata sicuramente la prima stagione di The Last of Us, opera di Craig Mazin e Neil Druckmann, tra le migliori serie TV di genere al di là del videogioco di riferimento (sempre in mood post-apocalittico). Ma se The Last of Us ha fatto il primo passo verso il successo, Fallout ha potenzialmente decretato un ulteriore avanzamento a livello di originalità.

La serie è sviluppata da Jonathan Nolan (che ha diretto anche i primi tre episodi) e sua moglie Lisa Joy. Nel loro curriculum c’è Person of Interest, di cui Jonathan è il creatore (e da cui prende un vecchio amico per Fallout, Michael Emerson) e Westworld, creata e prodotta dalla coppia. Che il fratello minore di Christopher Nolan e Lisa abbiano studiato tutti i capitoli di Fallout giocandoci senza sosta? Mi piace pensare che sia così, anche perché altrimenti non si spiegherebbe la cura dei dettagli (come alcune battute che vengono riprese parola per parola) e l’inserimento di personaggi e linee narrative così coerenti con l’intero disegno.

Fall Out. Crediti: Courtesy of Prime Video

I personaggi di The Last of Us nascono con il videogioco, in cui sono già delineati, e nella serie subiscono una serie di approfondimenti che ne stabiliscono un significativo background all’interno della narrazione. Quello che succede in Fallout è la creazione da zero di personaggi credibili nel contesto fornito: ci sono scenografie e ambientazioni pronte da riempire con linee narrative non presenti originariamente nei giochi (che sono quattro più i vari spin-off), in cui quasi sempre il giocatore è un abitante del Vault che per qualche motivo è costretto ad avventurarsi in superficie.

Nei giochi esistono varie sotto trame, e sono molteplici gli incontri che si possono fare durante l’esplorazione; come esiste la Brotherhood of Steel, di cui nella serie fa parte Maximus (Aaron Moten), ci sono anche i Ghoul, la musica nostalgica e i Vault. A fare la differenza è l’intreccio di storie, che mantiene fedelmente lo spirito dell’opera e lo arricchisce di sfumature. La serie immagina ciò che potrebbe esserci, lo fa con grande gusto narrativo, non esce mai dalla struttura portante ma non esita a mostrarcela da tutti i punti di vista, anche quelli meno prevedibili.

Fall Out. Crediti: Courtesy of Prime Video

Perché guardare Fallout

Fallout è la serie che dimostra che per fare un buon adattamento serve una buona scrittura, ha il pregio di mantenere l’umorismo nero che da sempre contraddistingue i videogiochi originali, e quello di tenerci col fiato sospeso fino all’ultimo episodio. Riesce a conquistare sia chi ci ha giocato che chi la scopre su Prime Video.

La nostalgia di un tempo ormai passato attraversa ciò che rimane degli Stati Uniti, è il ricordo di alcuni e il cruccio di altri, all’interno di un presente sconvolto dalla bomba atomica dove nulla è come sembra.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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