Cillian Murphy nel ruolo di Thomas Shelby in Peaky Blinders
Cillian Murphy nel ruolo di Thomas Shelby in Peaky Blinders (Credit: Netflix)

Se c’è una cosa che i Golden Globes (e l’intera Award Season) 2024 hanno chiarito è che c’è chi è innamorato di Cillian Murphy e chi dovrebbe smettere di mentire a se stesso. La storia di questo elegante, timido, alieno irlandese fa davvero credere che nel cinema, come nella vita, in fin dei conti non vince solo chi si mette in mostra a tutti i costi. Che a volte il lavoro duro e silenzioso vale più delle pacche sulle spalle giuste e che chi ha la stoffa per esserlo, prima o poi, una rockstar ci diventa davvero, che lo voglia o no.

E mentre i cinefili si scannano sulle vasche da bagno di Saltburn e sul femminismo troppo femminista di Barbie, il mondo concorda quantomeno su una cosa: Cillian Murphy sta ottenendo finalmente tutto quello che merita e che forse meritava da molto tempo. Che sia il Golden Globe come migliore attore protagonista, o un Oscar in cui tutti un po’ speriamo. 

I personaggi di Murphy, sfuggenti e spigolosi fin dagli inizi

Perché se non c’è dubbio che quello di Oppenheimer sia il ruolo della svolta, è anche vero che di performance interessanti se non memorabili, la sua carriera è disseminata fin dagli esordi. Fin dal trasognato e dolcissimo Darren e l’assurda, surreale storia di amore-amicizia con Sinéad (Elaine Cassidy) in Disco Pigs del 2001, da cui Murphy non è mai del tutto riuscito a scrollarsi di dosso personaggi in qualche modo simili: sfuggenti, spigolosi, fragilissimi, spaventati, impenetrabili.

Una scena di Oppenheimer (Courtesy of Universal)

Lo è Jim, sperduto nella Londra post-apocalittica infestata dagli zombie velocisti di 28 giorni dopo ma lo è per certi versi pure Lo Spaventapasseri della trilogia di Batman firmata Christopher Nolan: certamente un villain spietato e sopra le righe, ma a cui Murphy ha dato un taglio di purezza inafferrabile, evidentissima nonostante il breve tempo sullo schermo. Con un minuscolo dialogo nella scena del primo incontro tra Lo Spaventapasseri e Batman, infatti, Murphy riesce a riassumere la sfumatura del personaggio: psicopatico, freddo ma senza la spaventosa invincibilità del Joker, fallibile, perché dell’eroe di Gotham, in fondo, ha paura. 

E a questo punto è inutile negare l’elefante nella stanza, che ha un nome e un cognome. E una pistola: Thomas fooking Shelby.  

By order of the Peaky Blinders

Difficile decidere una sola ragione per cui Peaky Blinders, BBC prima e Netflix dopo, sia diventata una delle serie televisive più iconiche degli ultimi dieci anni; probabilmente perché una sola ragione precisa, effettivamente, non c’è.

Steven Knight è riuscito con una sola stagione, la prima, andata in onda nel Regno Unito nel 2013, a esaudire il sogno di tutti gli autori: firmare un prodotto visivamente riconoscibile nell’immediato, popolato di personaggi profondi, tridimensionali, fallibili, negativi ma che piacciono subito.

Una storia corale appassionante e (quasi) mai banale con un cast che non sbaglia un colpo. Ecco che è impossibile immaginare un Thomas Shelby che non sia Cillian Murphy e un Cillian Murphy che non sia stato Thomas Shelby

Il protagonista e capo della banda criminale della Birmingham post bellica dei primi anni Venti non sfugge agli stessi tratti che Murphy riesce ad infondere ai suoi personaggi. Sarebbe un errore considerare Thomas Shelby soltanto come uno spietato criminale che uccide a sangue freddo, intransigente e tutto sommato eroico. Come Jim, come Darren, come lo Spaventapasseri, come pure J.Robert Oppenheimer, anche Thomas è un uomo in costante fuga, tormentato, dilaniato, alla fine troppo fragile perché possa davvero sopravvivere, o peggio, vincere.

Assolutamente dipendente dalle figure femminili, a cui chiede salvezza senza ottenerla, Shelby è soltanto in apparenza l’eroe-gangster che sputa in faccia alla morte, da cui in realtà scappa costantemente e da cui è terrorizzato. 

Probabilmente l’attore occidentale con più personaggi traumatizzati e con la sindrome da stress post-traumatico della storia del cinema, nessun altro a parte Cillian Murphy avrebbe mai potuto interpretare il generico soldato tremante in shellshock di Dunkirk (sì, è proprio il nome del personaggio). 

C’è vita oltre il dramma?

Può sorprendere – ma non se si conosce la filmografia di Murphy, che i ruoli drammatici non siano gli unici in cui eccelle. Perfetto persino negli improbabili panni del lamentoso e stupidotto coprotagonista di Filleann an Feall, oscuro cortometraggio comico interamente in gaelico a cui potete arrivare facendo una giravolta su voi stessi e ripetendo per tre volte “Cillian” davanti alla homepage di YouTube.

Così come l’adorabile nerd innamorato di Watching The Detectives – la divertente commedia romantica senza pretese con una scoppiettante Lucy Liu – o il nevrotico instabile marito tradito cocainomane di The Party, brillantissima commedia diretta da Sally Potter da Guild Prize al 67° Festival di Berlino. 

L’irrequietezza e il tormento possono prendere forme diverse sul viso di Murphy: ora gli occhi acquosi, taglienti e di quell’azzurro innaturale sono tristi, ora spaventosi, ora teneri e innamorati, sempre in contrasto con una fisicità tutt’altro che androgina eppure così femminile. 

Sarà per questo che Cillian Murphy ci piace così tanto: in un mondo dominato da strepitanti estroversi, anche chi siede sempre all’ultimo banco, prima o poi, un Golden Globe lo vincerà. E – perché no – non si fermerà a quello.

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Clarissa Missarelli
Da sempre affascinata e appassionata di cultura pop, sfrutto la mia laurea in DAMS e la mia formazione musicale per far accapponare la pelle a chi non vede l'evidente somiglianza tra Sfera Ebbasta e Fabrizio De André. Guardo, ascolto e leggo di giorno e scrivo di notte, se ho qualcosa da dire. Per conoscermi meglio, l'importante è tenere a mente due cose: la mia parte preferita della giornata è l'aperitivo e la settimana di Sanremo è più importante del mio compleanno.

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