Pleasure film
Pleasure, Ninja Thyberg. Mubi

Pleasure, l’esordio alla regia di Ninja Thyberg – selezionato per la competizione ufficiale di Cannes 2020 e presentato al Sundance del 2021 – è finalmente approdato su Mubi il 17 giugno. Con tutta la carica sovversiva con cui lo sguardo femminile è in grado di accompagnarsi quando decide di ribaltare prospettive consolidate.

Agire per contrasti

Come talvolta accade quando dietro la macchina da presa si trova qualcuno con grande consapevolezza narrativa, i primi minuti sono in grado di dirci tanto sull’intento programmatico del film. Su uno schermo nero si fanno strada i titoli di testa, e con loro le parole e i versi ben noti del porno. Il godimento maschile e l’assecondare femminile.

In una blasfema associazione che ricorda l’uso che della musica aveva fatto Pier Paolo Pasolini in Accattone e ne La ricotta, armonie sacre diventano sfondo sonoro di scene in cui il corporeo subisce un innalzamento che ne plasma i connotati sotto una nuova luce. Il primo utilizzo di questo espediente si ha tuttavia proprio nei titoli di testa, nel momento in cui il nome della protagonista inaugura il susseguirsi del cast. I suoni del porno vengono bruscamente sostituiti da una sacralità stridente, che tornerà ad accompagnare il carnale, il terreno.

L’arma del contrasto si trova ripetutamente nel corso del film. Il titolo “Pleasure” viene fatto seguire da un particolare di Bella (Sofia Kappel) che si depila la vulva, con poca delicatezza, con il sangue che fuoriesce. Questa è l’origine del pleasure, un qualcosa che sanguina a simboleggiare la vita e la violenza.

Il doppio volto della violenza

Si nota un paternalismo ai limiti del nauseabondo nelle figure maschili, che il porno lo dominano. Spesso rimane (mal)celato dalla sua maschera “positiva”, ma talvolta esplode rovesciandosi nella sua altra faccia, dove la violenza psicologica diventa il volto reale della violenza fisica finzionale.

Emblematico in tal senso il momento in cui Bella, dopo aver chiesto esplicitamente al suo agente, Mike, di poter girare una “rough scene”, si ritrova in balia di qualcosa che non è in grado di affrontare. Il confine tra consenso e abuso sembra talmente labile da confondere vero e cinematografico (all’interno, tra l’altro, di una finzione ancora più grande che è il film Pleasure). Le richieste di fermarsi di Bella – che potrebbero armonizzarsi nella scena porno – sono dolorosamente reali. La trasformazione dell’apparente gentilezza degli uomini a telecamere spente (che contrasta con la durezza della scena) in abuso è resa magistralmente attraverso un montaggio che, nel suo intreccio di audio e video, disattende le aspettative dello spettatore. Nelle maglie dell’industria il concetto di stupro ha le tinte rarefatte della violenza domestica, così evidente e così difficile da dimostrare, scontrantesi sempre con una parete di ottusa negazione.

Bella ha dato il suo consenso (parola che diventa un’arma a doppio taglio); ma il consenso può decadere, e Pleasure condanna il suo essere guadagnato/mantenuto attraverso il ricatto.

L’accostamento con il modello femminile di porno risulta determinante. In uno scenario bondage, con una crew quasi interamente di donne, Bella scopre che un approccio diverso è possibile. Su questo set emergono professionalità, gentilezza e gioco, con i contrasti che continuano.

L’abuso è inscritto nelle dinamiche che operano nell’industria pornografica, ma ci viene mostrato come possa essere accettato placidamente (a causa della paura per ritorsioni?) o condannato. Se Ashley racconta serenamente di quando il loro agente l’abbia mandata ad un finto shooting rivelatosi un atto di prostituzione, Joy viene mostrata come il cavallo imbizzarrito del gruppo, intollerante al sopruso. Bella stessa verrà messa nella posizione di decidere da che parte stare: l’arte del compromesso, la vittoria dell’egoismo e la filosofia da lupo solitario si rivelano i paletti indispensabili per emergere. Il percorso di crescita di Bella subisce degli arresti e delle controtendenze. Parte diffidente, chiusa, timorosa della femminilità altrui, ma il suo iniziale “sciogliersi” (in cui il suo coming of age nel porno si intreccia con una nuova comprensione dell’Altra) viene reindirizzato dalla consapevolezza guadagnata.

La sua ossessione per la Spiegler Girl Ava si fa portatrice di questa scalata spietata. E l’unico modo per superarla si rivela il cambio di sesso: quando Bella indossa lo strap-on ha la sua rivalsa attraverso il dominio maschile che il film ha rifiutato e che la sua protagonista sembra ora abbracciare.

Un ripensamento e una maturazione finale definitiva un po’ affrettati non intaccano la potenza critica di questa pessimistica prevaricazione tra donne.

“YOU HERE FOR BUSINESS OR PLEASURE?”

La protagonista è una straordinaria Sofia Kappel, qui al suo esordio cinematografico. La prima volta che viene mostrata è nell’atto di essere “interrogata” da un uomo, al suo arrivo a Los Angeles dalla Svezia. L’approccio inquisitorio dell’uomo sulla donna viene presto ribaltato dall’agency che, nonostante le estreme difficoltà dell’industria, Linnéa/Bella Cherry riesce a imporre. Emblematica la richiesta del suo cellulare dopo il primo film girato per fare degli scatti lei stessa, come lei desidera: prende il comando della propria sessualità e usa il mezzo fotografico per immortalarsi, sganciandosi dallo sguardo (maschile) altrui.

Sguardo che è incarnato visivamente dalla macchina da presa, che diventa protesi sostitutiva del fallo, aggressiva protuberanza predatrice che rende oggetto ciò che sta dall’altra parte tramite lo strumento retorico della soggettiva.

Ma questo per quanto riguarda la macchina da presa della finzione. La macchina da presa di Ninja Thyberg è attaccata a Bella, racconta la sua storia, e ciò è evidente fin dalla prima scena porno da lei girata. Il focus su di lei è ostinatamente mantenuto, anche quando non parla, per contrastare poi con campi più lunghi che ci mostrano la scena d’insieme. Lei che rotea gli occhi quando il regista/attore del film le dà le istruzioni per fare la parte della verginella ci danno la misura di un’istruzione ufficiosa sulla sessualità femminile che la ragazza sembra aver già ben recepito dalla società.

Piacere e agency

Simbolo visivo definitivo del rovesciamento attuato da Thyberg in Pleasure è l’inquadratura dell’orgasmo maschile in questo primo porno (che intuiamo si tratti tutto di un POV, in quanto la macchina da presa è sempre tenuta dall’attore). L’atto è quello di Bella che si prepara a ricevere l’eiaculazione maschile sul volto, la prospettiva è dal basso (ma non si tratta di una soggettiva, poiché i rapporti di distanza non sono rispettati, così come non era una soggettiva dell’uomo quella di Bella che pratica sesso orale – un primissimo piano dei suoi occhi, con il fallo significativamente fuori dall’inquadratura).

Cosa vediamo? Vediamo il volto contratto dell’attore durante l’orgasmo: è la tipica inquadratura POV del porno, ma invertita di 180 gradi. Il volto ricoperto di sperma di Bella lo vediamo solamente nel momento in cui lei decide di scattarsi le foto con il cellulare.

Esplicito ma non voyeuristico, Pleasure non indulge mai nella provocazione fine a se stessa, forte di una volontà espressiva di rappresentazione di dinamiche che oltre all’industria pornografica riguardano la realtà contemporanea più ad un livello generale.

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