The Crown è arrivata ai temuti anni Novanta e il mito della serie di Peter Morgan sembra essersi infranto. La quinta stagione si è rivelata la meno apprezzata dal pubblico, eppure quasi nulla è cambiato nella formula, nella struttura più interna dello show. Il fattore decisivo è il tempo. È la distanza minima che separa il presente dalle vicende raccontate. La memoria viva dell’annus horribilis, della vittoria di Blair, dell’intervista a Panorama. Siamo parte di quella storia e, guarda caso, non ci piace più.
Questo non vuol dire che la stagione sia priva di difetti. Era anche difficile riuscire a fare meglio della quarta in cui le quattro donne protagoniste, Olivia Colman, Helena Bonham Carter, Gillian Anderson ed Emma Corrin, hanno divorato la scena.
Guardando, tuttavia, da un’altra prospettiva, Peter Morgan non ha fatto alcun passo falso. Il suo compito era quello di mostrare gli anni più difficili della Corona, quelli in cui l’attenzione dei sudditi era più bassa, rasente l’indifferenza. Doveva mostrare un’istituzione a pezzi. Ed è ciò che ci ha dato.
La nuova regina, Imelda Staunton
Non sapremo mai come avremmo reagito alla nuova scelta di casting se Queen Elizabeth II fosse stata ancora viva. Possiamo immaginarlo, ma non avrebbe senso. La minuta Imelda Staunton tuttavia le somiglia molto più di chi l’ha preceduta. Certo, il suo sguardo fermo, ad alcuni, ricorda troppo un personaggio indelebile come è stata Mrs Umbridge in Harry Potter, però ci sono una dolcezza e una tristezza nuove sul suo volto. Forse l’azzardo più grande della stagione.
La Corona infatti sembra pesarle addosso più che mai, facendo intravedere al di sotto la donna, stanca anche se imperturbabile, che è costretta a essere. Il primo episodio, interamente dedicato al parallelismo fra la Regina e il Britannia, lo yatch della Famiglia Reale, ne è la rappresentazione migliore. Persino Filippo (un sempre bravo Jonathan Pryce), ormai deceduto da oltre due anni nella realtà – e forse per questo meno presente nel montaggio finale – diventa un fattore del suo malessere. L’intera storia, forse adulterio, con la bellissima Lady Penny Knatchball sembra infatti servire soltanto per quella lacrima che scorre dolorosa sul viso della sovrana, nel sesto episodio, per poi sparire fino alla fine.
Come il Britannia, la Regina sembra d’un tratto anacronistica, da sostituire e lasciare nel passato. È questo anche il taglio che Morgan decide di dare al rapporto con il nuovo Carlo, Dominic West.
Il difficile passaggio di testimone con Dominic West
Uno degli elementi chiave di The Crown, fin dalla prima stagione, è sempre stato il ruolo di Carlo come simbolo vivente della morte della madre. Un fardello complesso, che prima è la regina di Clair Foy a sopportare da sola, nei confronti di un bambino inconsapevole. Poi è quella di Olivia Colman ad affrontare con Carlo/Josh O’Connor, seppur con tutto l’amore di una madre. A settanta e cinquanta anni, rispettivamente, l’equilibrio fra i due ruoli cambia di nuovo.
Carlo, nato solo per diventare re, è impaziente e sconsiderato, poiché costretto in un limbo, in attesa di diventare ciò che deve essere. Vive da uomo, non da istituzione e questo complica la sua immagine agli occhi dei sudditi e del mondo. Nella serie, come nella realtà, la popolarità che acquista negli anni Novanta dipende soltanto dalla moglie, la Principessa Diana, ma è facile dimenticarsene in The Crown. Complice anche la scelta di Dominic West come interprete. Così affascinante, e consapevole di esserlo, da dare al personaggio una potenza spropositata rispetto alla realtà.
Una Diana incompleta
Qualcosa non va, comunque, nella nuova Diana di The Crown. Certo, Elizabeth Debicki lascia senza fiato per il livello di somiglianza che riesce a raggiungere. Le bastano le due parole della primissima battuta per conquistare il pubblico. Identica nella voce e nel portamento alla Principessa. Eppure qualcosa non torna. Dov’è Diana fra i malati di Aids e fra le mine antiuomo? Dov’è il suo impegno sociale? Dov’è la figura che si è creata per diventare davvero la Principessa dei Cuori? Peter Morgan sceglie di non mostrare altro che una donna sola e malata, abbandonata dalla famiglia fino a diventare egoista. Il temperamento da folletto che era riuscita a darle Emma Corrin svanisce sotto l’ossessione di restituire il male che riceve. Stare dalla sua parte non è semplice, diventa impossibile quando la scrittura della serie stessa obbliga a guardare ogni punto di vista, senza schierarsi.
Ma è una prerogativa, questa della serie stessa. Ogni conflitto è analizzato in un caleidoscopio di ragioni. C’è chi ne esce sconfitto e ferito, come spesso è anche Margaret, ma che non risparmia colpi decisivi.
I personaggi “minori”
A proposito di Margaret, il suo ruolo passa a Lesley Manville (Il filo nascosto, Mrs Harris Goes to Paris) ma, nonostante il talento dell’attrice, il tempo sullo schermo è davvero minimo per lasciare il segno. Svanisce, poco a poco, quella carica rivoluzionaria che il personaggio portava con sé, fatta eccezione per una rinnovata e breve scintilla di felicità, con il suo unico amore. Prende sempre più spazio, invece, la Principessa Anne (Claudia Harrison), il cui rapporto con la madre era quasi inesistente nelle stagioni precedenti ma diventa fondamentale e stretto dagli anni Novanta in poi.
L’unico a cui però è dedicato un intero episodio, quasi senza incursioni, è Mohamed Al-Fayed (Salim Daw). Si tratta del terzo, forse il più bello della stagione, perché è quello in cui si torna a una dimensione dello “sconosciuto”, di qualcosa da scoprire al di là di tutto ciò che già si sa.
Un po’ di curiosità. Cosa c’è di vero in The Crown 5
E voi cosa sapete degli anni Novanta della Famiglia Reale? Tra i fatti più interessanti ripresi dalla quinta stagione, oltre il vero discorso di sfogo della regina e l’intervista di Diana alla BBC, c’è sicuramente l’intercettazione della telefonata tra Carlo e Camilla. Le parole usate sono quelle pubblicate dai giornali del tempo. È vera anche la danza “hip hop” di Carlo, anche se un po’ precedente agli eventi narrati: era il 1985. È davvero registrato in dei nastri segreti tutto ciò che Diana racconta a Andrew Morton, poi confluito nel suo libro e ancora dopo nel documentario Diana: In her own words. Infine è vero che Lady Penny spesso accompagnava la regina senza Filippo. Era presente anche al suo funerale nel 2020, l’unica persona fuori dalla famiglia a cui è stato permesso partecipare. Anche per questo si crede che fosse l’amante del Principe, non poi tanto segreta.
Uno degli episodi forse più belli dell’intera serie rimane il sesto della terza stagione, Tywysog Cymru, dedicato al Principe del Galles, ora Re Carlo III. Qui la recensione. Continuate a seguire FRAMED anche su Facebook e Instagram per altri consigli.