Best Picture Oscar 2024: la selezione della redazione di FRAMED Magazine. Grafica di Andrea Menghini
Best Picture Oscar 2024: la selezione della redazione di FRAMED Magazine. Grafica di Andrea Menghini

Il 2024 è un anno ricchissimo per la categoria Best Picture: in corsa agli Oscar ci sono dieci film tra cui è complicato scegliere un preferito. In redazione abbiamo già fatto le nostre previsioni e questo è il secondo appuntamento con la rubrica FRAMED ACADEMY. Chi dovrebbe vincere come Best Picture? Qui sotto i nostri favoriti.

Scelto da Silvia Pezzopane:

The Zone of Interest (La zona d’interesse) di Jonathan Glazer

In un tempo storico in cui la Memoria ci tranquillizza e ci ristora lasciandoci credere che tutto sia un ricordo assordante ma lontano, le guerre e i massacri del presente ci destano come una scossa inaspettata, mostrandoci come poco, in fondo, sia cambiato nell’animo umano in questi ultimi decenni. Jonathan Glazer, con il suo The Zone of Interest (tratto dal romanzo omonimo del 2014 di Martin Amis), allo stesso modo azzera ogni certezza, tornando a parlare di Olocausto, ma facendolo con un film che vanta un impatto visivamente ed emotivamente totalizzante per la percezione.

Attraverso il racconto della famiglia del comandante Rudolf Höß, che vive a ridosso del muro che la separa dal campo di concentramento di Auschwitz, la quotidianità dell’orrore la percepiamo attraverso suoni e urla, rumori continui, fiamme notturne, forni in funzione. Non esistono primi piani in The Zone of Interest, e lo schermo nero decreta l’inizio, immersione in un abisso, e la fine, con cui riemergiamo con paura, passando per una visione al negativo che pone questioni a cui ancora oggi non siamo in grado di rispondere. Mentre l’immagine di un giardino colmo di fiori e dai colori saturi simboleggia il successo di una mediocrità con ambizioni borghesi pronta a uccidere, trucidare, annientare, pur di conquistare il suo pezzettino di terra, un briciolo di successo, l’elaborazione del trauma non può che essere un’illusione, che insegna quanto la storia possa ripetersi. Per questo il film di Glazer merita di vincere il premio come Best Picture, perché racconta come mai prima d’ora la banalità di un male grottesco e spietato, attraverso suoni devastanti, caos sussurrato, gelide e perturbanti destabilizzazioni.

Scelto da Emanuele Bucci:

The Zone of Interest (La zona d’interesse) di Jonathan Glazer

Nel migliore dei mondi possibili (secondo noi) il quarto lungometraggio di Jonathan Glazer entrerebbe nel palmarès degli Oscar 2024 dalla porta principale, quella di miglior film. Perché è l’oggetto più radicale, destabilizzante e necessario, formalmente e politicamente, del nostro tempo tragico. Perché il suo discorso parte dall’Olocausto per toccare l’essenza di quel male che, ieri e oggi, è il negativo e il rimosso della razionalità, della normalità, della banalità borghese e occidentale. La zona d’interesse è un mockumentary grottesco sulla quotidianità del direttore di Auschwitz e della sua famiglia che abita, passeggia, pasteggia, ride e dorme indifferente accanto al lager, di cui non vediamo le vittime ma sentiamo le urla e gli spari.

Ed è la seduta psicanalitica dentro la parte più oscura di noi e della nostra Storia, in un sogno di benessere fondato sulla disumanizzazione e sopraffazione altrui, sul privilegio e la mediocrità del potere, sulle astrazioni razziste e classiste. Così, fra i corpi sbracati e fluttuanti dietro le quinte dell’orrore, le cesure delle schermate monocrome e il labirinto di suoni dall’inferno che abbiamo creato, la rappresentazione cinematografica sfida e interroga sé stessa. E la memoria. E i doppi e tripli standard di cui ancora viviamo e facciamo morire.

Leggi qui la recensione di The Zone of Interest.
The Zone of Interest Cannes 2023
La zona di interesse Ph Courtesy of A24/Mica Levi

Scelto da Valeria Verbaro:

Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese

È una presa di posizione, più che una scelta dettata da sensazioni soggettive o da fattori oggettivi. È chiaro infatti che l’unico film dell’anno fuori dall’ordinario è quello di Jonathan Glazer. E la vera mina vagante degli Oscar 2024 potrebbe essere solo American Fiction, con la sua acuta e intelligentissima sceneggiatura. Eppure è arrivato semplicemente il momento di dare a Martin Scorsese il riconoscimento che l’Academy gli deve da sempre. È giusto farlo con Killers of the Flower Moon, il suo capo-lavoro inteso non come il suo migliore ma come l’opera in cui il regista racchiude tutto di sé e dei suoi oltre 60 anni di carriera.

Killers of the Flower Moon è il film che Scorsese ha sempre fatto e al tempo stesso quello che non aveva ancora fatto. È un nuovo mito di fondazione americano che riconosce nella violenza omicida e opportunista il DNA di un’intera nazione e lo racconta sintetizzandolo all’estremo – dall’universale al particolare – nella complessa storia d’amore e abuso fra Mollie ed Ernest, Lily Gladstone e Leonardo DiCaprio. Pazienza se ci vogliono 3 ore e 26 per raccontarlo. Ne varrebbe la pena anche se fossero il doppio. E meriterebbe almeno la metà dei 10 Oscar a cui è candidato.

Leggi qui la recensione di Killers of the Flower Moon.
Lily Gladstone e Martin Scorsese in Kilers of the Flower Moon (Apple)

Scelto da Rebecca Fulgosi:

Poor Things (Povere creature!) di Yorgos Lanthimos

Già dopo la sua presentazione a Venezia 80, dove si è guadagnato il Leone D’oro, aveva fatto parlare di sé e aveva convinto i più, ma con la sua uscita nelle sale non ha fatto altro che amplificare la sua portata. Poor Things di Yorgos Lanthimos è il manifesto dell’emancipazione femminile portato sul grande schermo con la storia dell’eccentrica Bella Baxter. Un viaggio psichedelico attraverso ambientazione vittoriane al limite del futuristico, dove il mondo viene decostruito e ricostruito attraverso gli occhi della sua protagonista. Con delle interpretazioni impeccabili e un reparto tecnico magistrale, Poor Things non solo merita di vincere come miglior film, ma è già uno dei film migliori degli ultimi anni.

Scelto da Giulia Losi:

Poor Things (Povere creature!) di Yorgos Lanthimos

L’ultima opera del regista greco è una sinfonia perfetta di luci, suoni e colori. Le atmosfere oniriche si sposano perfettamente con il racconto di Bella Baxter, un’improbabile “mostro di Frankenstein”, una bambina che nasce nel corpo di una donna. Il caleidoscopio di luci e di colori mostrato, altro non è che lo stupore di un bambino che vede per la prima volta il mondo, nel bene e nel male. Poor Things è un viaggio fantastico, la crescita di una donna che si affaccia alla vita e conquista la sua indipendenza, lontana dai preconcetti di una società chiusa e opprimente. Si tratta di un film rivoluzionario, sia per le tematiche, sia per la narrazione. E per questo, merita di diritto di essere premiato come miglior film dell’anno.

Leggi qui la recensione di Poor Things.
Emma Stone and Mark Ruffalo in POOR THINGS. Photo by Atsushi Nishijima. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2023 20th Century Studios All Rights Reserved.
Emma Stone and Mark Ruffalo in POOR THINGS. Photo by Atsushi Nishijima. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2023 20th Century Studios All Rights Reserved.

Scelto da Francesco Gianfelici:

Oppenheimer è stato uno schiaffo morale al millennio dei macro-effetti speciali, alle produzione da 200 e 300 milioni di dollari, ed è diventato un grande incasso e uno dei migliori biopic del XXI secolo. Il suo trionfo agli Oscar sarebbe una dichiarazione programmatica d’intenti da parte dell’Academy, il coronamento della carriera per Nolan, che ha dimostrato che stupire senza un computer è ancora possibile. Il film utilizza al meglio le sue qualità tecniche (luci, sonoro, musica, montaggio) e umanistiche (la scrittura, la recitazione, la regia), e il tempo forse gli darà lo status di capolavoro; per ora il presente dovrebbe dargli l’Oscar al miglior film.

Leggi qui la recensione di Oppenheimer.
Cillian Murphy is J. Robert Oppenheimer in OPPENHEIMER, written, produced, and directed by Christopher Nolan.

Scelto da Alessandra Vignocchi:

Non possiamo conoscere le battaglie che ognuno sta combattendo, nel privato del suo cuore, nell’intimità del suo dolore. L’armatura che indossiamo per affrontare la vita oltre le nostre battaglie è la maschera che scegliamo di portare, la nostra versione che consideriamo più adatta, o forse l’unica che l’intensità del fardello ci permette di sostenere. Sono vere e proprie guerre, quelle che imperversano nei personaggi di The Holdovers – Lezioni di vita: un lutto impossibile da accettare, la paura di un destino che si crede già scritto e il terrore di vivere veramente, abbracciando il mondo con i suoi pericoli e le sue delusioni, ma anche con le sue meraviglie. Da questa sgangherata unione (forzata) natalizia si sprigionerà una calda scintilla di comprensione, di gentilezza, di empatia che, se non è in grado di guarire, è certamente in grado di accendere la miccia della volontà di provarci.

The Holdovers, Universal Pictures
Leggi qui la recensione di The Holdovers – Lezioni di vita

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