
Non sono stati anni facili, per il cinema, e ancora la ripresa deve compiersi del tutto: sono gli spettatori a mancare, a dover ritrovare il piacere di ritrovarsi in una sala buia a condividere le stesse emozioni, gli stessi respiri. Mentre speriamo di ritrovare le sale piene nel 2023, guardiamo indietro verso l’anno appena trascorso, ricchissimo di film che ci hanno fatto sognare, emozionare, evadere o riflettere. In una stagione ricca di bellissime storie, questi sono i film migliori del 2022 secondo FRAMED.
Siccità di Paolo Virzì e Spencer di Pablo Larraín – Ex aequo
Siccità di Paolo Virzì
Paolo Virzì prosciuga Roma per Siccità, presentato fuori concorso a Venezia79. Mette in scena il presente che ha la forma apocalittica di un mondo che sentiamo vicinissimo. Attraverso un crocevia di storie ci racconta che siamo il risultato di corsi e ricorsi, quello che è già successo è destinato a ripetersi. La sete come il dramma, la malattia come l’amore. In una disperata rappresentazione di umanità anche i sogni e le speranze hanno il loro ruolo e la luce gialla di una città senza pioggia riempie lo sguardo, si fa spazio attraverso la polvere, riflette la terra devastata e assetata, così come gli individui che la abitano. E ognuno è necessario per far muovere il meccanismo, fino a quella prima, miracolosa, goccia d’acqua. Qui la recensione integrale.

Spencer di Pablo Larraín
Un anno intenso per la rappresentazione della principessa del Galles, nella serialità e nel cinema. Pablo Larraín la ricopre di un’aura mistica, al tempo stesso descrivendola nella sua più fragile e deperibile umanità. Interpretata da Kristen Stewart, in Spencer, Diana è risucchiata al centro di un dramma che altro non è che quell’ultimo incubo prima di svegliarsi abbandonando i panni della principessa per riconquistarsi quelli della donna.
Sull’orlo di un precipizio, pesantissima e leggerissima insieme, si sente sempre sul punto di cadere e le immagini del reale si sfaldano nelle proiezioni mentali di una preda braccata. Soffocante e lirico, un biopic unico come un concerto improvvisato di free jazz, che non sappiamo che suoni intraprenderà. Qui la recensione integrale.

Close di Lukas Dhont
Sì, è vero, Close in Italia non arriva in tempo per chiudere l’anno, perché è in programma in sala dal 4 gennaio. Non sarebbe giusto però, per questo, dimenticare che è il Gran Prix di Cannes, oltre che forse il film più emozionante del 2022. Il ritorno di Lukas Dhont dopo Girl non poteva che essere una storia altrettanto forte, raccontata con la delicatezza leggera del suo sguardo.
Scava nel suo passato, il regista, alla ricerca di quella sensazione di inadeguatezza che si prova nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, soprattutto quando non ci si riconosce nella visione duale e convenzionale del maschile e del femminile, dell’eteronormatività. Close è il racconto di un’amicizia, forse di un amore, ma soprattutto della scoperta di sé, che avviene gradualmente e proprio quando non si è ancora pronti a porsi le domande giuste, ma sono loro a colpirti forte, senza tregua. La luce e le inquadrature di Dhont vi faranno innamorare di colori che non sapevate nemmeno di conoscere. Gli sguardi dei giovanissimi Eden Dambrine e Gustav De Waele vi gonfieranno gli occhi di lacrime, ma ne varrà la pena. Qui la recensione integrale.

Crimes of the Future di David Cronenberg
A otto anni dall’ultimo lungometraggio, il maestro della Nuova Carne David Cronenberg ci ha offerto con Crimes of the Future un altro lucidissimo incubo sull’apocalisse dei corpi postmoderni. È riuscito a spiazzare, sedurre e scioccare persino il pubblico di un’epoca, la nostra, in cui la realtà va superando ogni distopia.
Nell’anti-Eden dei peccati che verranno ci sono bambini che fagocitano plastica, artisti che estraggono i propri tumori come performance teatrali e tagli chirurgici assurti a nuova frontiera degli amplessi. Non contano tanto la trama da fumoso hard boiled o la costruzione di un mondo con pretese di verosimiglianza. Quello del regista canadese è (ancora) prima di tutto visione allucinata. Pamphlet satirico che parla il linguaggio contraddittorio delle pulsioni. Incisione nel profondo di una società, di un immaginario e delle sue derive, dove il confine tra evoluzione e decadimento è smarrito. Cinema che ritorna al futuro, in tutta la sua conturbante potenza.

Finale a sorpresa – Official Competition di Mariano Cohn e Gastón Duprat
Con i suoi spazi monumentali e il dialogo continuo tra i diversi piani dell’immagine, Official Competition è una riflessione sull’industria dello spettacolo che procede per variazioni impercettibili: di punto di vista, di registro, di relazioni tra i personaggi. Ogni frammento narrativo compare in tre forme all’interno del film. In forma simbolica, come manifesto della missione artistica dei protagonisti. In forma ironica, come commento beffardo all’improbabile seriosità della missione. In forma residuale, come scarto materiale privo di senso ulteriore.
Ne viene fuori una rappresentazione che fa collidere ridicolo e sublime in una sorta di humor siderale rarefatto: lontano, sfuggente, eppure chiaramente distinguibile.

Nostalgia di Mario Martone
Una narrazione che il regista, da buon Virgilio, ha guidato tra le strade di Napoli, facendo emergere il lato più struggente dell’essere umano, la nostalgia. Uno stato d’animo letale come una lama affilata e sublime come una carezza materna, difficilissimo da raccontare. Martone riesce nell’impresa, con maestria, con abilità, oscillando tra le pagine del romanzo omonimo di Ermanno Rea fino a sfiorare la tragedia greca.
Narra della storia di Felice Lasco (Pierfrancesco Favino) e Oreste (Tommaso Ragno); due uomini, protagonisti del film, che non hanno nulla in comune, se non la condivisione del passato, del ricordo e della nostalgia. Quel sentimento che Pasolini ricama attraverso i tratti della conoscenza e dello smarrimento, e che tutti noi viviamo quotidianamente, nella memoria dei nostri antenati, conosciuti e sconosciuti, fatta di sussurri ed echi, che affonda le radici, molto spesso, nella Terra di origine, nonostante lo spazio, il tempo e la distanza. “Chest è ‘a casa mia!”. Qui la recensione integrale.

X – A Sexy Horror Story di Ti West
L’estate 2022 si è consumata sotto al segno di Ti West e del suo X-A Sexy Horror Story, lungometraggio arrivato nelle nostre sale a luglio, e nel cui cast spicca una strabiliante Mia Goth, nel doppio ruolo di Maxine e di Pearl. Ambientato alla fine degli anni ’70, X è la storia di un gruppo di ragazzi che tenta di sbancare nel mondo dei film a luci rosse, ma che presto si trova a vivere all’interno di un vero e proprio incubo.
Proibito ma al contempo affascinante, innovativo e ambizioso, X è il comandamento di Ti West, un compendio del genere horror che fonde cliché a elementi di novità. Un lungometraggio che è un omaggio al cinema slasher anni ’70, ma è anche critica nuda e cruda a un sistema proibizionista, celato da una politica falsa e altamente corrotta, in un mondo in cui l’agognato American Dream è ormai smascherato. Qui la recensione integrale.

Tár di Todd Field
Non ancora uscito in sala (è previsto per il 9 febbraio 2023) ma già avvolto da un fascino che si muove tra il morboso e il maestoso. La vita privata di una direttrice d’orchestra, Lydia Tár (Cate Blanchett), il suo passato, i suoi errori, le sue ossessioni, i suoi scontri, i suoi amori. È una danza ipnotica di quasi tre ore dove gli occhi sono consegnati al talento di cui dà sfoggio Cate Blanchett.
La sua parola vibra e ci rapisce, i suoi gesti sono formule magiche per ipnotizzarci. Una storia cruda, fatta di note strumentali ed emotive che si elevano dall’orchestra umana che orbita intorno a Lydia. Umanità e musica confluiscono in questo film e il loro ritratto è una poesia complessa e avviluppante. Un film per cui correre in sala appena uscirà.

La Stranezza di Roberto Andò
Com’è possibile trovare fianco a fianco, sullo stesso schermo, nello stesso film, due comici da cabaret come Ficarra e Picone e un mostro sacro come Tony Servillo? Una stranezza, questa è l’unica spiegazione. Anzi, La Stranezza: ovvero il modo in cui Luigi Pirandello chiamava quell’idea che gli ha balenato in testa per anni, prima di diventare il capolavoro metateatrale intitolato Sei personaggi in cerca d’autore.
Ed è proprio su questa gestazione che Roberto Andò lavora da sceneggiatore e regista per realizzare un nuovo piccolo capolavoro nel quale la realtà e il teatro, la vita e la commedia non hanno pareti divisorie, ma solo un unico palcoscenico, quello cinematografico. Un palcoscenico magico, come il mondo siciliano in cui i personaggi s’intrecciano, in una stranezza che rende perfetto l’incontro tra la coppia comica e uno dei più grandi attori viventi. Qui la recensione integrale.

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