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Venezia 79 – I film del 6 settembre

Love Life Venezia 79 - 6 settembre

Venezia 79: gli highlights della Mostra del cinema

Giornata numero sette per la Mostra del cinema di Venezia, che si appresta alla sua chiusura prevista sabato 10 settembre, e ultima giornata al Lido per noi di Framed Magazine. Nella mattinata abbiamo assistito a due proiezioni: Don’t Worry Darling di Olivia Wilde e Love Life di Koji Fukada, rispettivamente Fuori Concorso e in Concorso. Vediamoli in breve.

DON’T WORRY DARLING di OLIVIA WILDE – FUORI CONCORSO

Olivia Wilde presenta la sua opera seconda dopo Booksmart (La rivincita delle sfigate) del 2019. Così sbarca al Lido Don’t Worry Darling che tra folle urlanti per il suo protagonista Harry Styles e chi grida allo scandalo per tutto quello che aleggia dietro le quinte di questo lungometraggio, il prodotto finale è, ahimè, una vera e propria caduta di stile. La trama verte intorno all’apparentemente tranquillo, villaggio Victory. Anni ’50, un agglomerato di coppie vive pacificamente una vita sempre uguale, con le mogli che si occupano della casa e i mariti che lavorano nella misteriosa azienda Victory Project. Tutto cambia quando Alice (Florence Pugh) comincia a nutrire dubbi su quello che in realtà questa cittadina nasconde.

L’idea di base c’è, l’originalità forse un po’ meno, ma tutti sappiamo che un tema anche se già rivisto in molte occasioni, può comunque sorprendere se trattato correttamente. In Don’t Worry Darling questo non succede. Ecco, quindi, che un buon concetto di base viene ribaltato in favore di una confusione generale che parte proprio dalla sua sceneggiatura. I personaggi sono poco sviluppati e sono pochi quelli che bucano lo schermo. Florence Pugh è l’unica eccezione e si dimostra ancora una volta una delle migliori attrici nel panorama cinematografico attuale. Un vero peccato. L’uscita in sala è prevista per il 22 settembre prossimo.

Venezia 79. Florence Pugh in Don't Worry Darling. Credit: Warner Bros
Venezia 79. Florence Pugh in Don’t Worry Darling. Credit: Warner Bros

LOVE LIFE di KOJI FUKADA – IN CONCORSO

Seconda proiezione del giorno è stata Love Life del regista giapponese Koji Fukada, che concorre al Leone D’Oro. La storia ruota attorno alle vicende di Taeko (Fumino Kimura), una giovane ragazza madre che vive insieme al nuovo compagno Jiro (Kento Nagayama) e a suo figlio di sei anni Keita (Tetsuta Shimada). La loro vita viene però scombussolata da un evento tragico e inaspettato che induce il padre biologico di Keita, Park (Atom Sunada), a bussare alla porta di Taeko, senza un soldo e senza dimora.

Love Life si è dimostrato una sorpresa sin dal principio della sua narrazione. Con una sceneggiatura pulita e che arriva dritta al punto, il lungometraggio racconta egregiamente la drammaticità e la frustrazione che una famiglia prova dopo la tragica perdita di uno dei suoi membri. Il personaggio di Taeko gode di una rappresentazione ricca e di un’interpretazione che tocca l’anima e i cuori degli spettatori. Tutte le fasi conseguenti a un lutto vengono mostrate nella loro veridicità e senza tralasciare nulla, con la confusione e il senso di vuoto tipici di un evento di tale portata. Un lungometraggio assolutamente da non perdere. In sala dal 9 settembre.

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VENEZIA 79 – I film del 5 settembre

Amanda Venezia 79 Highlights 5 settembre
Amanda (Carolina Cavalli, 2022) - Credit I Wonder Pictures

Venezia 79: gli highlights della Mostra del cinema

IN VIAGGIO DI GIANFRANCO ROSI – IN CONCORSO

Dopo il successo ottenuto nel 2020 con Notturno, Gianfranco Rosi torna alla Mostra del Cinema di Venezia con un documentario della durata di 80 minuti circa, intitolato In viaggio. Dedicato alla figura di Papa Francesco, il docu-film si concentra in particolar modo sui viaggi che il Pontefice ha compiuto dall’inizio del suo pontificato, arrivando fino al 2022.

Le sequenze mostrate sono per la maggior parte filmati di repertorio ripresi dagli archivi ufficiali; brevi spezzoni di viaggi che hanno segnato la figura del Papa, riportati in modo egregio dalla regia di Rosi, che riesce a carpire da questi filmati i momenti più sinceri e toccanti, coinvolgendo lo spettatore all’interno di questa veritiera narrazione. L’uscita in sala è prevista per ottobre 2022.

LES ENFANTS DES AUTRES DI REBECCA ZLOTOWSKI – IN CONCORSO

Produzione francese girata interamente in Francia, Les Enfants des autres (I figli degli altri) ha debuttato al Lido lo scorso 4 settembre. Il lungometraggio racconta la storia di Rachel (Virginie Efira), insegnante di una scuola media locale, divorziata e senza figli. La sua vita cambia drasticamente dopo l’inizio della storia d’amore con Ali (Roschdy Zem), un uomo divorziato e con una figlia di 4 anni, Leila. I desideri di Rachel, che vorrebbe con tutto il suo cuore diventare mamma, vanno quindi a scontrarsi con quelli di Ali, sempre più deciso a non avere altri figli.

Il lungometraggio ha pregi e difetti che risiedono soprattutto in una sceneggiatura confusionaria nel racconto del viaggio introspettivo e psicologico affrontato da Rachel. Una storia sulla maternità e le difficoltà che questo percorso comporta, mostrata in tutte le sue sfaccettature. Tra queste, le preoccupazioni di Rachel che, data la sua età, vedrà il sogno materno sfumare, il rapporto con la figlia del suo compagno che prosegue tra alti e bassi, passando infine per la realizzazione di una verità scomoda. Il film arriverà nelle sale italiane il prossimo 22 settembre.

AMANDA DI CAROLINA CAVALLI – ORIZZONTI EXTRA

Ultima proiezione della giornata è stata quella dedicata al lungometraggio Amanda. Diretto da Carolina Cavalli e concorrente nella sezione Orizzonti Extra (Premio del pubblico), il lungometraggio racconta la vita di Amanda (Benedetta Porcaroli), venticinquenne dalla vita atipica (secondo la sua famiglia). Amanda non ha amici, vive sempre in casa, esce pochissimo e se lo fa è per frequentare feste clandestine nella notte buia di una Torino quasi rurale. Nel cast anche Michele Bravi, Galatea Bellugi e Giovanna Mezzogiorno.

Amanda è un lungometraggio impegnato e rivoluzionario per il cinema italiano come lo intendiamo. Con molti elementi che rimandano ai coming of age tipicamente americani – specialmente Lady Bird di Greta Gerwig – Amanda è ambizioso e atipico come la protagonista da cui prende il nome. Racconta la solitudine e l’incertezza del futuro con gli occhi di una giovane di famiglia agiata che internamente è dilaniata da un enorme insicurezza e dalla necessità di ritagliarsi un proprio posto nel mondo. Previsto nelle sale per ottobre 2022 distribuito da I Wonder Pictures.

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Cortona On The Move 2022 – Me, Myself and Eye

Cortona On The Move 2022 - © Lucas Foglia
Cortona On The Move 2022 - © Lucas Foglia

Il festival internazionale di visual narrative Cortona On The Move torna con la sua dodicesima edizione fino al 2 ottobre 2022.

Me, Myself and Eye, questo il tema e titolo del festival per l’edizione 2022: Cortona On The Move torna a riempire la città toscana offrendo nuove visioni fotografiche in spazi storici e in luoghi inconsueti.

Cortona On The Move 2022 – Me, Myself and Eye

Quest’anno al Cortona On The Move la fotografia partecipa ad un dibattito concreto, in una costante diffusione di immagini chi è l’osservatore e come si pone nei confronti di ciò (o chi) viene osservato?

La presa di coscienza che sia urgente riconsiderare come siano rappresentate etnia, genere e classe sta sconvolgendo vecchie regole non scritte e scrivendone di nuove. In questo momento cruciale, in cui la fotografia è più presente che mai, assurta a linguaggio universale, prodotta, condivisa e consumata in maniera ossessiva, Cortona On The Move vuole riflettere su autorialità, punto di vista e legittimità. Su come soggetto e oggetto si intersecano, si scontrano e finiscono col coesistere.

Paolo Woods, Direttore artistico Cortona On The Move

Potendo ammirare i reportage firmati da fotografe e fotografi di tutto il mondo, ad emergere è l’urgenza di mostrare la diversità per sentirsi più vicini, il bisogno di delineare il declino e la pericolosità di alcune politiche mondiali, attraverso l’effetto che hanno sulle persone che vengono coinvolte. Raccontare per immagini non è mai stato così prioritario, in un momento storico in cui chiunque può testimoniare la propria realtà contribuendo al racconto della contemporaneità.

Cortona On The Move 2022 – © Nicolas Righetti

I luoghi

Ex Magazzino delle carni

Nell’Ex Magazzino delle carni ci sono le fotografie di Christian Lutz con il progetto Citizens, per cui viaggia in tutta l’Europa, facendo tappa nelle roccaforti populiste e partecipando ai raduni nazionalisti in tutto il continente, dal 2013 fino al 2020.

In una cornice underground dove si scorge il passato di altre manifestazioni artistiche (un’opera gigante di urban art ricopre le mura di una delle stanze della location), l’opera di Lutz testimonia una risposta ai cambiamenti politici nel suo paese d’origine, e una reazione al terrore instillato dai populisti in Svizzera.

Palazzo Baldelli

A Palazzo Baldelli molti progetti e singoli artisti in mostra. Importantissima, la collezione di Storie di umanità. Fotografi per Medici senza Frontiere, in cui giovani fotografi raccontano dal campo i pazienti e l’azione di MSF.

Tra questi Yarin Trotta del Vecchio, con Shifting sands – L’oblio dei migranti del Sahara, in cui racconta il Niger, terra di transito e ultima frontiera prima del Mediterraneo per i migranti che tentano di arrivare in Europa. Potrete trovare anche Giuliano Lo Re con RIP: rest in pieces e Filippo Taddei con Nel mare ci sono coccodrilli. I tre autori sono i vincitori del contest 2021.

Sempre a Palazzo Baldelli la selezione di I DO (Sì, lo voglio), con fotografi di matrimonio provenienti da quattro continenti che creano una memoria personale e collettiva, rispecchiando la società e la cultura in cui si trovano.

C’è anche Martin Parr & The Anonymous Project con Déjà ViewA Conversation in Colour, un dialogo visivo tra due vasti archivi fotografici: quello del fotografo britannico Martin Parr, considerato uno dei più importanti autori viventi, e quello di The Anonymous Project, iniziativa artistica avviata nel 2017 da Lee Shulman, che raccoglie e conserva diapositive a colori scattate da fotografi non professionisti in tutto il mondo.

Un altro progetto collettivo esposto è Cortona On The Move AlUla, che mette in mostra i progetti dei sei artisti sauditi e internazionali che hanno partecipato al programma delle Residenze d’Artista. I fotografi europei selezionati per il programma sono: Awoiska van der Molen (1972), Eleonora Paciullo (1993), Martin Kollàr (1971). I tre fotografi sauditi che partecipano alla residenza sono: Hayat Osamah (1993), Huda Beydoun (1988) e Hussain AlSumayn (1992).

All’interno della cornice storica del palazzo sono esposte le opere di altri dodici artisti, tra questi Martina Bacigalupo con Gulu Real Art Studio: una riflessione sull’identità e la condizione sociale attraverso un recupero di veri e propri resti di fotografie grazie all’amicizia con Obal, il proprietario del più vecchio studio della città di Gulu, in Uganda.

Da non perdere al piano terra The Ameriguns di Gabriele Galimberti, che per il progetto ha viaggiato negli USA per fotografare i possessori di armi da fuoco. Il risultato della serie è una collezione di scatti che riflette la naturalità con cui tali armi vengono esposte in un contesto spesso domestico e familiare.

Chiesa di San Marco e Via Crucis

In un percorso particolare che si snoda dalla chiesa di San Marco, sono esposti i lavori di Lucas Foglia, parte di un progetto ancora in corso, Constant Bloom, dedicato alla migrazione delle farfalle Painted Lady.

Fortezza del Girifalco

Nella suggestiva location della fortezza, in un gioco espositivo tra interno ed esterno, sono esposte cinque serie per sei fotografi: Jojakim Cortis e Adrian Sonderegger con Icons, Gregory Halpern, Walter Niedermayr, Jessica Auer e Stacy Kranitz.

Anche qui torna la riflessione sulla fotografia e sul soggetto fotografato. Come nel lavoro di Stacy Kranitz, che racconta l’esplorazione e l’estrazione del carbone nella regione degli Appalachi, negli Stati Uniti. Un ragionamento continuo da cui sorge l’interrogativo della giusta rappresentazione.

Cortona On The Move 2022 – © Stacy Kranitz

Stazione C

Il percorso espositivo si conclude con Jacob Holdt e American Pictures – I Just Do Things, a cura di Lars Lindemann e Paolo Woods. “American Pictures di Jacob Holdt è una raccolta di oltre 18 mila fotografie che documentano il razzismo, la povertà, l’oppressione, l’amore, l’odio e l’amicizia in America. È stato realizzato da Holdt durante i suoi cinque anni di intensi viaggi negli Stati Uniti, vissuti da vagabondo con quaranta dollari in tasca. La mostra si concentra sulle fotografie più intime scattate nelle case del sud degli Stati Uniti, negli Appalachi e nei ghetti della costa orientale e occidentale.”

Informazioni

Il festival Cortona On The Move, organizzato dall’associazione culturale ONTHEMOVE, si svolge con il patrocinio della Regione Toscana e del Comune di Cortona; è realizzato con il sostegno di Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia, main partner, con il contributo di Fondazione CR Firenze e di Autolinee Toscane, partner, e di Medici Senza Frontiere, charity partner. 

Per ulteriori dettagli visitate il sito ufficiale.

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L’immensità, un viaggio familiare

L'immensità Venezia 79

Dopo il successo dello scorso anno con il film Madres Paralelas di Pedro Almodóvar, Penélope Cruz torna al Lido stavolta in veste di musa di Emanuele Crialese, con il film italiano in Concorso L’immensità. Nonostante il lungometraggio porti con sé una messa in scena abbastanza soddisfacente, numerosi sono i difetti nella sceneggiatura, modificando gli equilibri necessari a raccontare una storia di questa portata.

Alla ricerca di un proprio Io

L’immensità è la storia di una famiglia nella splendida cornice di una Roma degli anni ’70. Clara (Penélope Cruz) è sposata con Felice (Vincenzo Amato) e insieme hanno tre figli: Adriana, Gino e Diana. Quella che però all’apparenza può sembrare una famiglia felice, nel profondo ha numerose situazioni di malessere, camuffate da altrettante situazioni di circostanza. Il matrimonio tra Clara e Felice è in crisi e Adriana, la figlia maggiore di dodici anni, comincia a scoprire la sua vera identità.

L’immensità è un lungometraggio la cui essenza principale è la ricerca di se stessi. Ecco così che si trasforma in un viaggio familiare e personale di un gruppo di individui dilaniati internamente e con la necessità di trovare il loro posto nel mondo. Una su tutte la giovane Adriana. Non è come le altre ragazze della sua età; con una consapevolezza che solo una dodicenne può iniziare a nutrire, Adriana affronta un’analisi sulla propria identità di genere, arrivando alla consapevole decisione di identificarsi con i pronomi maschili.

L’identità di genere è una tematica attualissima che necessita di sempre più mezzi per poter farsi sentire come si deve. Tutta la confusione e i timori di Adriana – che si identifica come Andrea – vengono rappresentati inizialmente nel modo più vero e sincero possibile. Andrea si scontra con l’accettazione di sé, il primo amore e anche lo scontro con il parere degli altri, in primis la sua famiglia. Tutto si ribalta verso il termine del lungometraggio, dove la tematica del coming out viene accantonata e denigrata su un filo secondario della narrazione.

L’immensità è l’essenza di Penélope Cruz

La protagonista assoluta è infatti Penélope Cruz. Madre di famiglia, intrappolata in un matrimonio che ha sempre di più le sembianze di una gabbia e costretta a un matrimonio infelice con un marito autoritario molto spesso violento, Clara riesce a ritagliarsi uno spazio tutto suo, un mondo ideale dove poter vivere in pace con se stessa. E lo fa con i suoi figli. La maternità diventa così la linea narrativa principale e fulcro dell’intera narrazione. Una maternità mostrata su più livelli; i giochi con i figli, i momenti divertenti, quelli più tosti, le confidenze e le paure tipiche del lavoro più difficile al mondo: fare la mamma.

Tutto riconduce a questa tematica narrativa che risulta quella meglio sviluppata. Clara si discosta dagli ideali tipici che la società ha tentato di imporre – e in molti casi ci è riuscita – sulla figura materna. Lei non picchia i suoi figli quando sbagliano, li ascolta e risolve la questione con l’utilizzo del discorso, ascolta le problematiche che i giovani ragazzi hanno e sta loro accanto senza giudicarli, imparando moltissimo da quello che ha davanti. Penélope Cruz ci dona così un’interpretazione viscerale, fatta di anima e cuore e in grado di bucare facilmente lo schermo, attirando a sé tutte le attenzioni principali del lungometraggio.

Come si può scappare dalla realtà?

Sembra quasi impossibile, eppure i protagonisti un modo lo trovano. Eclissare la realtà in favore di un mondo ideale e che si sposa al meglio con gli ideali dei protagonisti – Clara e i suoi figli – è un altro degli elementi presenti nel lungometraggio di Crialese. Nonostante il tema sia riproposto innumerevoli volte e in innumerevoli modi diversi nella maggior parte dei film attualmente prodotti, ne L’immensità la fuga diventa essenziale e uno dei modi con cui riesce è la musica.

La musica diventa l’elemento portante nella vita di Clara, Andrea, Gino e Diana, venendo riproposta tramite impostazioni non usuali. Costante nella loro vita è in particolare Raffaella Carrà. Le note di Rumore suonano imperterrite a tutto volume mentre il quartetto prepara la tavola per il pranzo ed è proprio in questi momenti che si sentono uniti più che mai. La musica è anche espressione dei sentimenti di Andrea, che evade dalla realtà opprimente di una messa in Chiesa, immaginandosi uno stacchetto musicale accompagnato da sua madre.

L’immensità è, nel suo complesso, un viaggio generazionale di formazione e scoperta, un coming of age antico, che gode di una sceneggiatura a tratti superficiale e a tratti impegnata. 

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The Whale, la teoria sull’amore di Darren Aronofsky

The Whale Venezia 79
Brendan Fraser in “The Whale”

Una sola stanza, un protagonista reietto e una storia d’amore e di liberazione da raccontare. Sono queste le premesse che Darren Aronofsky pone nel presentare in Concorso a Venezia 79 la sua ultima fatica, The Whale. Un racconto sull’amore mascherato dalla sofferenza e dall’insoddisfazione del vivere intrappolati in un corpo che fa solo da tramite verso una vita ultraterrena, che il protagonista aspetta impaziente. Con Brendan Fraser, Sadie Sink, Samantha Morton, Hong Chau e Ty Simpkins, e tratto dall’opera teatrale di Samuel D. Hunter, The Whale è un racconto da scoprire e assaporare con occhi e cuore.

The Whale è la rinascita di Brendan Fraser 

Darren Aronofsky colpisce ancora. Se nel 2002 era toccato a Mickey Rourke con il film The Wrestler, questa volta la scelta è ricaduta sull’attore icona degli anni ’90 e primi anni 2000, Brendan Fraser. Aronofsky ripesca così uno dei volti più amati e iconici di Hollywood rimasto in sordina per molti anni, donandogli una nuova luce che, in questo caso, non fa altro che splendere. Fraser interpreta Charlie, docente del corso universitario online di scrittura creativa. Un uomo che appartiene alla cosiddetta categoria dei reietti, essendo omossessuale, ripudiato dalla famiglia che ha con lui rapporti ostili, ma soprattutto obeso.

Charlie vive in una costante reclusione forzata, come se dovesse espiare un peccato che in realtà non esiste se non nella sua mente, ormai divorata da rimpianti che si porta con sé da anni. Un uomo prigioniero del suo stesso corpo, un corpo che lo costringe a vivere ogni giornata come un’altra, costretto sul divano e non riuscendo praticamente a muoversi se non per brevissimi tratti. Un corpo logoro di una vita che Charlie non considera più sua. Sta morendo – e questo lui lo sa bene – decidendo di arrendersi a un destino che sembra inesorabile. Il corpo viene così oggettificato in favore di una narrazione sporca e veritiera, impostata sulla ricerca di redenzione e liberazione da parte del protagonista.

Quando solo l’arte è in grado di salvarci

In The Whale importantissimo è lo spazio che un’altra protagonista quasi impercettibile si prende. Sto parlando dell’arte della letteratura. Charlie è docente di scrittura creativa e quello che nell’ultimo periodo è riuscito a fare, è stato trovare consolazione nella correzione delle tesine e dei saggi dei suoi studenti. Ecco, quindi, che la letteratura assume una funzione salvifica e necessaria alla mente del protagonista, ormai lacerata da pensieri intrusivi e istinti compulsivi. Un ruolo di calmante naturale ed essenziale che Charlie utilizza contro quello che ormai è diventato la sua personale macchina distruttiva: il corpo.

Sottolineato dal titolo e già dalla prima sequenza del lungometraggio, è l’importante legame che Charlie ha con un’opera in particolare. Si tratta di Moby Dick di Herman Melville. La balena protagonista del libro, nel lungometraggio si tramuta in una metafora per indicare la vita e le condizioni in cui versa il protagonista. È importante dire che questo è un legame sottolineato anche da lui stesso, che vede la balena ormai insalvabile e padrona di una vita che non le appartiene, assolutamente non meritevole di vivere. Una personificazione dettata dalla disperazione e ulteriore segno di un sacrificio estremo che Charlie compie nel corso della narrazione.

La cura dell’anima

Quello che Charlie desidera fare negli ultimi giorni della sua vita è una cura totale. Ecco così che le sequenze – impostate come se fossero una pièce teatrale – diventano il palcoscenico del riallacciamento di rapporti umani tra Charlie e coloro che per vari motivi lo avevano abbandonato. Nella sua quotidianità – mostrata interamente – ecco che si uniscono al racconto anche personaggi secondari che partecipano involontariamente alla cura dell’anima che Charlie si è prefissato.

Liz (Hong Chau), unica amica e infermiera personale di Charlie, che quotidianamente detta un quadro clinico in costante peggioramento; Thomas (Ty Simpkins), un giovane predicatore convinto di inculcare nella mente di Charlie nozioni su una possibile salvezza dell’anima, ed Ellie (Sadie Sink), sua figlia. Abbandonata da lui quando la ragazza aveva appena otto anni per inseguire l’amore della sua vita, il rapporto con Ellie è quello più turbolento e più complicato che Charlie ha. 

The Whale condensa in una sola stanza una narrazione ben lontana dal baratro della monotonia in cui potrebbe rischiare di cadere. Una storia d’amore, di paternità, di cura e di assoluzione trasposta sul grande schermo con una regia intrisa di significato e tipica di Aronofsky, colorita dall’aggiunta di musiche perturbanti e da una scenografia che riflette animo e corpo del suo protagonista.

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Le Favolose di Roberta Torre

Le Favolose di Roberta Torre
Le Favolose di Roberta Torre

Roberta Torre ritorna dopo 5 anni da Riccardo va all’inferno (2017) con Le Favolose, un film distribuito da Europictures e presentato a Venezia 79 il 1° settembre alle Giornate degli Autori. Sarà visibile in sala dal 5 al 7 settembre

Non è possibile citare la vibrazione di un “fuoco”, ma la si può descrivere ed è esattamente ciò che fa Roberta Torre con le protagoniste del suo nuovo film.

Il documentario si muove tra realtà e finzione. Racconta esperienze di vita vere o verosimili di sette amiche transgender e dei loro fuochi. Fiamme che divampano nel loro costante desiderio di libertà. Al tempo stesso usa un elemento di fantasia per introdurre un tema poco dibattuto nel contesto pubblico: il riconoscimento della libertà delle persone trans al momento della morte.

La narrazione di Torre si ricama delicatamente su un punto focale: il nido, il rifugio, la casa dove “le Favolose” si incontrano da ragazze e dove possono sentirsi felici e spensierate. Un luogo nel quale poter manifestare il loro “Io” primordiale senza timore e pregiudizio. E ancora, un luogo di appartenenza spirituale, prima che fisica, capace di infondere loro sicurezza e protezione. Una comfort zone, una condizione di beatitudine, totalmente separata dalla realtà e da una società che senza indugio punta il dito, giudica e ferisce.

E fra i tesori di questo rifugio c’è un vecchio armadio, memoria allegorica ricolma di vestiti, che per le sette donne profumano di sogni e di speranze e “un’astronave” verso altri mondi.

La regia tocca con semplicità e ironia l’immensa dimensione esteriore e interiore del mondo transgender. Ci riesce con fare disinvolto, leggero e intelligente, senza mai cavalcare l’onda della banale retorica e dell’ambiguo pietismo. 

Acqua e aria. Elementi di Madre Terra, l’unica che accetta incondizionatamente le sue creature

La macchina da presa lavora su una continua alternanza di immagini che rimandano al passato senza mai abbandonare il presente, stimolando nello spettatore tenerezza e disincanto. Ciò che viene testimoniato dalle sette Favolose ha del torbido, dell’abominevole. Dolore, abusi, l’innaturale mancanza di affetto genitoriale, che lasciano un gusto amaro drammaticamente potente.

La scena iniziale e quella finale del film propongono una riflessione molto sensibile, mani che volteggiano nell’aria e piedi che si dimenano nell’acqua, offrono una raffinata forma di amore e di accettazione universale. Quell’universalità che solo Madre Terra, con i suoi elementi, è in grado di infondere. Una linfa terrena necessaria alle protagoniste, per riuscire a sopravvivere nel pieno vortice dell’incomprensione e della miserabilità dell’uomo.

“Alla morte bisogna arrivarci da vivi”

I temi che ricorrono nel lungometraggio sono il ricordo, il tempo e la morte.

Tempo per crearsi, plasmarsi, definirsi e amarsi, per raggiungere lo scalino più alto dell’esistenza: la libertà. E poi vi è il ricordo che può distruggere, annientare, ma può anche accarezzare e salvare dalle vicissitudini e dagli inferni del passato.

Infine vi è la morte. “Ma alla morte bisogna arrivarci da vivi”, afferma una delle Favolose. 

Una frase introspettiva e carica di pathos. Un concetto quasi cartesiano, una rielaborazione odierna del “cogito ergo sum”: “penso quindi sono”, “sono libera quindi vivo”.

Una donna trans può vivere davvero, solo se lo fa da donna libera, mostrandosi al mondo senza sentirsi sbagliata o diversa. Dover interpretare, sul palcoscenico della vita, un’identità non propria, equivale a morire. 

La vestizione di Antonia: il suo secondo battesimo

È con la scena più struggente del film, che Roberta Torre ci regala una delle emozioni più intense. (SPOILER)

Tra le sette favolose – cinque delle quali si incontrano di nuovo nella casa – vi è Antonia, morta molti anni prima del loro ritrovo, a causa di un uomo violento che le ha tagliato la gola. Antonia muore due volte. La prima a causa dell’episodio crudele e l’altra nel momento in cui la famiglia decide di seppellirla con abiti maschili, controvertendo il suo desiderio e la sua identità.

Quei vestiti rappresentano un blocco, un’impossibilità di poter davvero accedere all’aldilà. Una sorta di immagine dantesca, nella quale i bambini che non hanno ricevuto il battesimo, vengono privati delle porte del paradiso, rimanendo intrappolati in modo perpetuo nel limbo

Le amiche decidono, mediante una seduta spiritica di rievocare Antonia dall’aldilà, per poterla rivedere ancora un’ultima volta. Un momento forte ed elegiaco. Come un vero e proprio rito di vestizione, paragonabile a un passaggio di purificazione, al primo sacramento d’innanzi alla fonte battesimale.

La “favolosa” appare alle sue amiche, ancora con la giacca maschile, la camicia e la cravatta, ma che ben presto spariranno dal suo corpo.

Con cura, le sei donne, spogliano e rivestono la loro Antonia, con gli abiti che appartengono alla sua vera essenza, alla sua personalità più recondita. Tacco vertiginoso, calze a rete e tubino aderente.

E con questa danza catartica, che rievoca un secondo battesimo, ora lei è pronta ad andare, serena e libera.

Forse è proprio questo il messaggio più profondo che emerge dalle testimonianze che ci vengono donate dalle Favolose, insieme alla regista. Non vi è vita senza la libertà. Sentirsi liberi è lo stato d’animo che delinea il confine sottile tra il vivere ed il sopravvivere. Tra il dramma e lo spettacolo.

E nonostante tutto, le Favolose, hanno scelto di vivere lo spettacolo.

Le Favolose è un soggetto originale di Roberta Torre, ispirato agli scritti di Porpora Marcasciano, una delle protagoniste e storica attivista del Movimento Identità Trans, di cui è Presidente e fondatrice. Accanto a lei nel film, Nicole De Leo, Sofia Mehiel, Veet Sandeh, Mizia Ciulini, Massimina Lizzeri, Mina Serrano, Antonia Iaia. Dal 5 al 7 settembre in sala.
Le Favolose di Roberta Torre

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Master Gardener, storia di rinascita e riconquiste

Master Gardener Venezia 79

Dopo il successo dello scorso anno sempre Venezia, con il film Il collezionista di carte, Paul Schrader – storico sceneggiatore di molti dei successi cinematografici del regista Martin Scorsese – torna al Lido a ritirare il Leone d’Oro alla Carriera presentando il suo nuovo film Master Gardener, con protagonisti principali Joel Edgerton, Sigourney Weaver e Quintessa Swindell. In Concorso a Venezia 79, Master Gardener racconta la redenzione e il cambiamento di Narvel Roth (Joel Edgerton), un ambizioso giardiniere dal passato turbolento.

La metafora dei fiori

Master Gardener si pone su un gradino più alto rispetto a The Card Counter. Paul Schrader osa e disegna una storia differente dal suo consueto modus operandi, fatta di metafore continue che si intrecciano all’interno dei personaggi protagonisti e degli elementi che ne compongono lo sfondo. Il lungometraggio racconta la storia di un giardiniere da un passato oscuro e da dimenticare, ma la particolarità di tutto questo insieme è il trattamento che viene dato all’occupazione del suo protagonista principale.

I fiori sono il suo habitat naturale, la ragione della sua compostezza ma soprattutto la matrice del nucleo di tutto il film. Narvel utilizza appunto questi elementi naturalistici e tipicamente decorativi per creare metafore mai superficiali sul suo passato, il suo presente e il suo futuro. Ciascuno di loro simboleggia così un particolare momento della vita del protagonista, un continuo rifiorire e un appassimento disegnato sotto al segno prettamente naturalistico di una sceneggiatura composta e mai fuori dalle righe. La vita diventa il fiore della discordia del protagonista, fatta di alti e bassi ma pronta a rinascere in qualsiasi momento.

Un passato pressante ma una redenzione necessaria

Master Gardener è un dramma leggero che usa l’espediente della fioritura per raccontare una storia di redenzione, passato, violenza ma anche di razzismo. Si è in grado di perdonare qualcuno nonostante un passato alquanto discutibile? È questa la domanda costante posta al protagonista attraverso le righe della sceneggiatura. Narvel è (all’apparenza) composto, calmo e sicuro di sé. La realtà è però un’altra. La sua è una storia tormentata, legata al suo appoggio al suprematismo bianco neonazista. Un passato che viene a lui continuamente riproposto, visibile sulla pelle anche a causa delle svastiche e delle scritte razziste tatuate.

Narvel vuole liberarsene, ma dall’altro lato la ricca Norma Haverhill, proprietaria dell’appezzamento di terra curato proprio dal protagonista la pensa diversamente. A differenza di lui, lei è costante nella sua decisione e rimanendo razzista va volutamente contro alla sua pronipote Maya (Quintessa Swindell), una ragazza nera di poco più di vent’anni. Sarà proprio il rapporto che Narvel andrà a creare con questo personaggio, che permetterà al protagonista di redimersi totalmente anche nei confronti di una società che rimane molto bigotta sotto numerosi punti di vista.

Master Gardener è un viaggio di riconquiste personali dettato da un iniziale rallentamento che costituisce l’unica nota negativa di un film imponente. Una ricerca di vendetta da parte del protagonista, che arriva ma in modo diverso da quanto si aspettasse. Una vendetta verso il proprio passato, che seppure non così marcata, è necessaria per poter seppellire tutto il marcio di una vita passata ad inseguire un ideale fittizio e inumano. Una vendetta personale ma a lui necessaria.

Con prospettive continuamente ribaltate – che spaziano tra le visioni di Narvel, Norma e Maya, grazie alla regia magistrale di Schrader- la costante del mistero pare continuamente aleggiare sul corpo di un racconto che per via delle tematiche trattate e dell’epoca di incertezza in cui ci troviamo, rimane terribilmente attuale. Con sequenze imponenti inquadrate nelle cornici create da una fotografia possente, con musiche incalzanti e sinistre, Master Gardener è un film molto ambizioso che fa leva sull’importanza di trovare un equilibrio tra la solitudine autoindotta da eventi traumatici e dal bisogno di andare oltre di fronte ad eventi passati che non possiamo più controllare.

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Pearl, il secondo comandamento di Ti West dopo X

Pearl Venezia 79

Nella notte a cavallo tra il 3 e il 4 settembre il Festival del Cinema di Venezia non è andato a dormire. Nella cornice della prestigiosa Sala Grande del Lido è stato presentato l’attesissimo Pearl alla presenza in sala dell’attrice protagonista Mia Goth e del regista Ti West, che si sono goduti gli scroscianti applausi del pubblico sia all’inizio della proiezione che al termine. Fuori Concorso, Pearl è così arrivato a farsi conoscere in tutta la sua maestosità, mescolando novità e formule consuete nella risoluzione che era già stata vincente per il suo predecessore X – A Sexy Horror Story.

La sfortuna di chiamarsi Pearl

1918, Texas. 60 anni prima degli eventi raccontati in X – A Sexy Horror Story, questo lungometraggio – girato in concomitanza con il suo predecessore – racconta una porzione della storia di Pearl (Mia Goth) e della sua giovinezza vissuta tra ambizioni e paure di un futuro che non potrà mai avere. In piena Prima Guerra Mondiale, Pearl ha un solo sogno: diventare una ballerina il cui nome deve essere – secondo lei – assai conosciuto. Ma il suo sogno è destinato a rimanere una chimera a causa delle sue condizioni di vita; padre infermo, madre severa, un matrimonio vincolante e con una fattoria da mandare avanti. Pearl non può fare altro che fantasticare su quello che potrebbe essere. Ma lei non è come le altre ed è disposta a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo.

Protagonista assoluta, Pearl gode all’interno del suo omonimo prequel di una rappresentazione eccezionale, dove le caratteristiche che erano state solo accennate e quasi contornate all’interno di X – A Sexy Horror Story vengono delineate, approfondite e colorate. Rabbia, dolore, frustrazione ma anche ambizione sono le componenti maggiori all’interno della persona di Pearl, le stesse che fuoriescono come un’ondata per tutta la durata della narrazione, merito principalmente di due fattori: una sceneggiatura sporca e ridondante e l’interpretazione magistrale che ancora una volta Mia Goth è stata in grado di donarci.

Pearl è un film fuori dalle righe

Se X – A Sexy Horror Story è stato un film delle mille sfaccettature politiche, Pearl rema in direzione contraria. Nonostante siano presenti numerosissimi rimandi alla situazione in cui versa il mondo dove Pearl si ritrova costretta a vivere quasi fosse una gabbia, questo lungometraggio sottolinea la sfera psicologica della sua protagonista. Un’escalation continua di rabbia e dolore che trovano la loro massima espressione al termine, donando moltissime chiavi di lettura aggiuntive al film in cui Pearl era proprio l’anziana antagonista.

Un film che scrive fuori dalle righe che X – A Sexy Horror Story aveva solo tratteggiato finemente, in cui ancora una volta il cinema come arma di difesa e trasformazione di una realtà opprimente e il ruolo principale dato al corpo della protagonista sono due degli elementi che più hanno contribuito alla buona realizzazione dell’opera finale. Meno slasher e con più dialoghi, Pearl è ambizioso quanto il suo predecessore, nonostante a primo impatto si possa facilmente carpire il contrario. Una commedia horror che gioca sui toni del grottesco e dell’assurdo, pur sempre rimanendo fedele all’obiettivo che si era prefissato: raccontare una origin story.

Una danza macabra all’insegna della giovinezza

Il cinema torna qui a essere un altro protagonista assoluto delle vicende raccontate. Se in X era il voyeurismo e il proibizionismo del cinema erotico di fine anni ’70, in Pearl si ha, da parte della protagonista, la scoperta del cinematografo come elemento di liberazione dalla sua realtà, una continua estasi che alimenta la sua voglia di ribellione e cambiamento. Continuamente sottolineata è anche la giovinezza e, soprattutto, il fatto che questa capiti una sola volta nella vita. Pearl si appropria di questo comandamento e se ne aggrappa con forza, trasformandolo in elemento portante di tutte le sue azioni. Giovinezza e ballo si fondono in una macabra danza, coreografata dalla stessa inarrestabile Pearl.

Con moltissimi elementi che rimandano ad X (la presenza del coccodrillo, il laghetto, passando per il rastrello all’interno della stalla) il regista Ti West aggiunge elementi nuovi alla storia, fino ad ora sconosciuti. Il rapporto tra Pearl e la sua fredda madre è uno di questi e si trasforma in brevissimo tempo ad essere il fulcro principale di tutta la narrazione. Con un’estetica molto più vivida rispetto ad X, Ti West gioca ad un continuo ribaltamento tra commedia e drammaticità, mescolando alla sceneggiatura scritta da lui in collaborazione con Mia Goth, delle musiche incalzanti e crescenti che vanno a completare la cornice di una origin story entusiasmante, mai monotonale e tremendamente riuscita.

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Il Signore degli Anelli: gli anelli del potere, ritorno nella Terra di Mezzo

Gli Anelli del potere. Amazon Prime Video.
Gli Anelli del potere. Amazon Prime Video.

A distanza di 21 anni da Il Signore degli anelli e di 10 anni dalla saga prequel Lo Hobbit, ecco che la maestosa e imponente saga diretta cinematograficamente da Peter Jackson torna – stavolta sul piccolo schermo – con la serie tv Gli anelli del potere, che ha debuttato su Prime Video con ben due episodi première il 2 settembre scorso. Ideata da J.D. Payne e Patrick McKay la serie, composta da 8 episodi totali, è pronta a catapultare di nuovo i suoi spettatori nella solenne Terra di Mezzo creata da J. R. R. Tolkien.

L’inizio di un nuovo capitolo

La paura per il debutto de Gli anelli del potere era tantissima, considerata la portata della saga madre di cui parliamo. Il Signore degli Anelli è stato in grado di travolgere completamente le sorti del fantasy letterario e del fantasy cinematografico, creando un prodotto finale divenuto con gli anni ineguagliabile. Il timore di una possibile rovina della matrice quindi era dietro l’angolo. Ma questo, per fortuna, non è successo.

Basta uno schermo nero, una voce narrante proveniente da una protagonista più che familiare e una luce incandescente che si irradia dalla prima inquadratura, per far svanire qualsiasi possibile timore. Gli Anelli del potere ci porta (di nuovo) nella Terra di Mezzo. Ci porta a casa.

Gli Anelli del potere. Amazon Prime Video.

Il Signore degli Anelli in fin dei conti è una saga generazionale iniziata nel 2001 con il lungometraggio La Compagnia dell’Anello e proseguita nel 2012 con Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato. Una saga che negli anni è andata ad arricchirsi di storie e nuovi racconti che hanno fatto da culla a numerosissime generazioni di appassionati, accogliendone sempre di nuovi. Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del potere si trasforma così nel tassello mancante di questo grande puzzle: maestosa come la saga da cui prende il nome e imprevedibile come solo una storia simile può essere. È l’alba di una nuova era.

Eroi nuovi per una storia familiare

Ambientata tremila anni prima degli eventi delle due saghe precedenti, Gli Anelli del potere segue le vicende di un folto gruppo di eroi – distinguibili tra nani, uomini, elfi e proudfellow (antenati dei famosi Hobbit) – nell’epoca della Seconda Era della Terra di Mezzo. Epoca di relativa pace, è proprio in questi anni che si assiste all’ascesa di Sauron, ma soprattutto alla forgiatura dei famosi Anelli del Potere, fonte di discordia sin dagli albori della loro creazione. Con molti inserimenti creati direttamente dalle menti abili degli sceneggiatori, la storia raccontata prende forma dall’unione di nuovi personaggi a un contesto familiare.

Gli Anelli del potere. Amazon Prime Video

Tra loro spicca Galadriel. Con il volto di Cate Blanchett nella saga originale, già avevamo imparato a conoscerla, ma mai ci era stato dato un approfondimento in merito al suo passato e al suo ruolo in esso. Ed è proprio questo che la serie vuole fare partendo già dai primi due episodi. Narratrice e protagonista assoluta è proprio lei, interpretata da Morfydd Clark, che da subito sottolinea le sue caratteristiche principali: determinazione, fierezza, compostezza e ribellione.

(SPOILER) Qualità che spiccano soprattutto nelle scene più belle e mozzafiato di questi due episodi, una su tutte la marcia al comando di alcuni soldati per la ricerca di Sauron – che solo lei ritiene vivo e attivo – dove la protagonista appare ferma e decisa, con l’obiettivo di portare a termine la sua missione senza farsi metter i piedi in testa da nessuno. E sì, ci riuscirà. Almeno in parte (per ora).

Un inizio più che convincente

Dalle creature che mantengono le sembianze con cui avevamo imparato a conoscerle, fino ai luoghi che ci appaiono familiari, passando per i vari richiami alla saga che ci fanno sobbalzare e sorridere. Tutto all’interno dei due episodi si dimostra essere efficace come degno erede di un prodotto che ha fatto la storia. Noi spettatori non possiamo fare altro che meravigliarci di fronte a inquadrature possenti che ci mostrano ambientazioni magnifiche, seguendo le prime avventure di questi nuovi eroi. Nulla è fuori posto.

Un incanto per gli occhi e per il cuore, dove i brividi sono durati dal primo all’ultimo minuto delle puntate, dove lo schermo televisivo è il limite di un’esperienza, che per tale portata, sarebbe stata alquanto meravigliosa vista sul grande schermo. Lo avremmo sicuramente preferito, ma piuttosto che essere privati del tutto di un tale spettacolo, ci troviamo ad accontentarci. L’inizio convince perché tutte le caratteristiche che ci avevano fatto amare Il Signore degli Anelli sono presenti e la storia coinvolge portando con sé moltissima curiosità per quello che verrà. In attesa dei prossimi episodi – in uscita ogni venerdì per altre sei settimane – non ci resta che continuare a goderci, ancora e ancora, i primi due. E ammettiamolo, non fa mai male un rewatch.

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