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Napoli velata. Città madre e assassina dei suoi figli

Napoli velata

Ferzan Özpetek con Napoli Velata (2017) dà vita ad una delle sue opere più mistiche. E lo fa servendosi della città più avvolgente e sensuale del mondo.

Napoli, città dei misteri

Napoli, la città dai mille colori e misteri, culla del sacro e del profano, si concede al regista come quadro di una storia che si colora di noir, intrigo e sentimento. Una parvenza di erotico e di oscuro che volteggia tra i suoi vicoli e le sue strade, si adatta scrupolosamente alle vite di Adriana (Giovanna Mezzogiorno) ed Andrea (Alessandro Borghi), che verranno travolte da un turbine di angoscia ed insicurezza capace di mettere a nudo il loro lato più torbido ed inconsapevole.

Spoiler alert

Il film si apre con l’inquadratura “hitchcockiana” di una scala elicoidale e l’ancestrale “figliata dei femminielli” che lasciano intravedere un chiaro segno di un dramma preannunciato. L’intera trama si sviluppa intorno alla morbosa passione tra un uomo ed una donna, che si sono appena conosciuti, e a uno strano omicidio. Andrea, il protagonista, viene infatti rinvenuto senza vita e privato dei suoi occhi.

Una narrazione vorticosa che gira pedissequamente intorno alla vita tormentata e ai fantasmi di un passato invalidante che si insinua nei meandri dell’anima. Un gioco elegante di sguardi che si crogiolano nel buio, mani che si intrecciano sui corpi e ardenti baci saffici che nascondo la tragica verità della storia. Un richiamo continuo alla passione, al tradimento e al dolore dell’amore impossibile che porta alla follia e all’irreversibilità della morte. 

Napoli è perfetta per parlare di segreti. Dove la realtà si armonizza con il teatro, le maschere si confondono con i volti ed i numeri della smorfia sfidano la casualità del destino. Una città che assume la forma di un velo impunito, pronto a nascondere ciò che i suoi abitanti non hanno il coraggio di vedere e di accettare. Un dolore, un passato, una verità, tutto celato sotto una Napoli “velata” che al contempo si fa madre e assassina dei suoi figli.

“La gente non sopporta troppa verità”.

 I fantasmi invalidanti del passato e l’uso dei propri sensi

Quando Adriana scopre dell’assassinio di Andrea, iniziano a verificarsi una serie di circostanze travagliate ed asfissianti che scoperchiano il vaso di Pandora, facendo riemerge i diavoli infernali del suo crudo passato. Un passato trafitto da voragini interiori insanabili che non le consentono di vivere in modo lucido qualsiasi tipo di legame.

Per poter sopravvivere alle sue lacune esistenziali, Adriana sceglie la via dell’immaginazione, dell’illusione, l’unica strada che lei crede essere salvifica e alla quale si aggrappa con tutte le sue forze. Ma la morte richiama altra morte, ed il dolore risveglia altro dolore, e la scomparsa di Andrea non è altro che un sollecito alla risurrezione dei suoi fantasmi, pesanti come macigni, che le impediranno di continuare a vivere, a respirare e ad aprirsi agli altri.

Il regista opta per un finale aperto ed enigmatico, lasciando libera interpretazione alla mente di chi guarda. Una scelta che risultata raffinata, saggia e coraggiosa. La rivelazione conclusionale del racconto viene rimessa alla meravigliosa Cappella di San Severo, dove giace l’opera affascinante del Cristo Velato, palese rievocazione del titolo, e nel quale ancora una volta, il contrasto tra il divino ed il peccaminoso ne fa da padrone.

Privare sin da subito il protagonista della vista e adagiare sull’intera città un manto velato, sono segni di un linguaggio evocativo, dove Ferzan Özpetek richiede allo spettatore di alimentare i propri sensi, chiedendogli, almeno per una volta, di non guardare usando gli occhi, ma di sentire attraverso il corpo.

Napoli velata di Ferzan Özpetek è disponibile su Netflix.

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I’M OPEN, COME IN – Intervista a Vinnie Marakas

Vinnie Marakas
Foto di Lorenzo Ubertalli

Per la nostra rubrica dedicata agli incontri con artisti emergenti del panorama musicale italiano, stavolta parliamo con Vinnie Marakas. Ecco alcune essenziali domande per iniziare ad entrare nel suo mondo

Puoi provare a spiegarci chi è Vinnie Marakas?

Provare a spiegare non rientra nelle facoltà del mago, anzi. Bisogna sapere per poter osare e osare per volare, spiegando, allora sì, le ali ritrovate. Ma infine tacere. Vinnie Marakas è un servitore dell’Idea, che rifiuta di essere autore di un’identità, o titolare di una storia o una biografia. Vinnie Marakas è un nobile viandante, un Marco Polo che da sempre attraversa le città invisibili dell’immaginario.

Cosa, o meglio chi c’è dietro di lui?

“Alle spalle le noie che gravano col loro peso sulla grigia esistenza. Felice chi può con un colpo d’ala vigoroso slanciarsi verso campi luminosi e sereni; e comprende senza sforzo il linguaggio dei fiori e delle cose mute”. Se guardo dietro di me, altro non vedo che la mia ombra.

Come spiegheresti il genere che rispecchia la tua musica, l’Italian Touch?

Non sento questa necessità di definirla veramente in un genere, anche perché come ti ho detto rifiuto di esserne autore. È la musica ad essere Autrice e Genitrice, così come lo sono le idee, i simboli, le visioni. Bisogna lasciare alle parole anche il loro potere evocativo, senza sempre dover andare a sviscerarle con delle definizioni o delle categorie altrimenti si monopolizza il significante deprivandolo della sua forza suggestiva. Italian Touch può voler dire tante cose, un riferimento alla tradizione elettronica e prog italiana, una ripresa di elementi provenienti scena francese degli ultimi vent’anni. Ma ognuno può scegliere quello che gli suggerisce l’istinto. Alla fine della musica conta quello che uno ci sente quando la ascolta.

Pensi che questo genere possa raggiungere il mainstream?

Credo che ci sia in atto la rivalutazione di una certa musica italiana degli anni ’70 e ’80 di cui vengono ripresi alcuni elementi in vario modo, poi ti ripeto, non mi interesso di generi, ancor meno di quello che può essere o diventare mainstream. Mi auguro che possa raggiungere le persone in grado di ascoltare e intuire la Visione. Ma è quest’ultima a guidare, e sceglierà dove portarci.

Cosa ne pensi del dualismo italiano tra indie e trap? Dove si colloca Vinnie Marakas?

Il fatto che ci sia un ipotetico dualismo mi intristisce perché vorrebbe dire che la scena in generale è molto povera, e conforme, ma la verità è che non ne so molto, come ti ho detto. Le influenze che hanno plasmato il progetto vengono da entrambe le parti, ma più in generale dall’hip hop, dalla house, dal prog rock, in certe cose dal punk, dalla new wave. Insomma mi è veramente difficile darti delle coordinate certe. Credo che si possa collocare nella tradizione della musica italiana che ha cercato di sperimentare con elementi misti ibridandoli in qualcosa che rispecchiasse una visione, un’Idea.

Per il tuo EP “Giovane Cagliostro” citi grandi compositori risorgimentali come Boito e Praga. Quanta Italia c’è davvero?

Più che compositori risorgimentali, per quanto abbiano vissuto in quel periodo storico, li chiamerei poeti scapigliati, cantori dissoluti della decadenza di un sistema di valori. Di questo, in Giovane Cagliostro riverbera la malinconia scanzonata, il conflitto tra finzione immaginata e realtà in decadenza, ma non riguarda un qualche tipo di patriottismo o di nostalgia risorgimentale. Lo stesso termine Risorgimento è una finzione storiografica risalente alla propaganda dei Savoia. Era anzi, appunto un periodo di grande decadenza, come lo è questo.

Definisci il tuo Ep “Un’opera simbolista, non solo musicale, che celebra il tramonto degli idoli e della cultura Occidentale come un after party crepuscolare e scanzonato”. Sembra affascinante, ma come lo sono le cose che piacciono senza che ci riesca davvero a capirle. Puoi spiegarci meglio?

Ma, in parte credo di averti già risposto. Non è solo musicale perché vuole suggerire delle immagini, delle evocazioni che trascendono la musica e a loro volta ne sono trascese. È un album che celebra la caduta, il crollo, la frana. Senza tragedia, ma come un meraviglioso incidente, uno spettacolare volo al contrario, cantando sguaiati ai lampioni umidi e scambiandoli per fragili lune elettriche. L’after party è per suo stesso nome quello che c’è dopo, ma che si definisce solo in relazione a ciò che c’era prima. La festa è finita ma nessuno vuole tornare a casa, così continua indistintamente, trascinandosi stanca lungo le sponde del fiume, mentre tutto cade e decade.

Per ascoltare Giovane cagliostro su Spotify, clicca qui.

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DISNEY+ APRILE 2022 | TITOLI E NUOVE USCITE

Le Fate Ignoranti
DISNEY+ APRILE 2022, Le Fate ignoranti.

6 aprile

Single Drunk Female. Un licenziamento collettivo in una media company di New York costringe la ventenne alcolizzata Samantha Fink a sfruttare l’unica possibilità che ha per smettere di bere ed evitare il carcere: tornare a casa dalla sua prepotente madre, Carol. Di ritorno a Greater Boston, Samantha inizia una nuova vita, lavorando nella drogheria locale dove tuttavia è circondata da tutti i motivi che l’avevano spinta a iniziare a bere. Samantha torna quindi a confrontarsi con il passato, litiga con la sua ex migliore amica perfettina, che ora esce con il suo ex ragazzo, e intraprende un cammino per dimenticare la sua parte peggiore e scoprire quella migliore. Più o meno. 

I Simpson con la trentaduesima stagione completa.

THE SIMPSONS: Join the Simpson family for a historic 32nd season of the Emmy Award-winning THE SIMPSONS premiering Sunday Sept. 27 (8:00-8:30 PM ET/PT) on FOX. THE SIMPSONS © 2020 by Twentieth Century Fox Film Corporation. Artwork © 2020 by Fox Media LLC.

8 aprile

Sex Appeal. Avery Hansen-White non fa cose in cui sa di non eccellere. Così, quando il suo ragazzo a distanza accenna di voler fare un passo avanti nella loro relazione, lei si impegna a migliorare la sua sessualità usando il suo più vecchio amico, Larson, come cavia. ln questa esilarante commedia per adolescenti, lo studio di Avery si traduce nella realizzazione che il sesso e l’amore non sono solo qualcosa di meccanico e che le relazioni richiedono sia testa che cuore.

13 aprile

Le Fate ignoranti. Quando Massimo, il marito di Antonia, rimane ucciso in un incidente, la donna scopre che suo marito aveva una relazione con un giovane uomo, Michele. Antonia, devastata dalla notizia, si ritrova a indagare sulla vita segreta del marito e stringe un’amicizia inaspettata e coinvolgente con Michele e la sua cerchia di amici eccentrici che erano per suo marito quasi una seconda famiglia. Grazie a tutti loro lei riuscirà a cambiare il suo punto di vista sulla vita, ma imparerà di nuovo ad amare?

Finalmente la nuova serie originale italiana del cineasta Ferzan Ozpetek tratta dall’omonimo film campione d’incassi e fenomeno culturale. La serie Le Fate Ignoranti (titolo internazionale The Ignorant Angels), sarà composta da 8 episodi. Vede tra i protagonisti Cristiana Capotondi ed Eduardo Scarpetta, insieme a Luca Argentero , Serra Yilmaz e Ambra Angiolini.

DISNEY+ Le Fate ignoranti

15 aprile

Fresh. Noa (Daisy Edgar-Jones) incontra il seducente Steve (Sebastian Stan) in un negozio di alimentari e, data la sua insoddisfazione con le app di incontri, corre il rischio lasciandogli il suo numero. Dopo il loro primo appuntamento, Noa è affascinata e accetta l’invito di Steve per un weekend romantico, ma scoprirà che il suo nuovo amante nasconde degli insoliti appetiti. Il film di Legendary Entertainment è diretto da Mimi Cave e interpretato da Daisy Edgar-Jones (Normal People) e Sebastian Stan (il franchise di Captain America, Tonya).

Sebastian Stan in the film FRESH. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved

20 aprile

THE DROPOUT. Soldi, romanticismo, tragedia, inganno. Dall’executive producer Elizabeth Meriwether, The Dropout è la storia di Elizabeth Holmes (Amanda Seyfried) e della Theranos, una storia di ambizione e fama finita terribilmente male. Come ha fatto la più giovane miliardaria che si è costruita da sola a perdere tutto in un batter d’occhio? The Dropout vede protagonisti Amanda Seyfried nel ruolo di Elizabeth Holmes e Naveen Andrews in quello di Sunny Balwani. La serie, composta da otto episodi.

GROWN-ISH. Quarta stagione. Le amicizie sono messe alla prova, le relazioni diventano difficili: riuscirà Zoey ad arrivare alla laurea o cambierà rotta?

27 aprile

SKETCHBOOK–COME NASCE UN DISEGNO. Una serie documentaristica intima e di formazione, Sketchbook – Come nasce un disegno con Walt Disney Animation Studios ci porta sulle scrivanie e nelle vite di artisti e animatori di talento che insegnano a disegnare un personaggio iconico di un film dei Walt Disney Animation Studios. Ogni episodio si concentra su un singoloartista che illustra un personaggio che ha contribuito a creare oche lo ha ispirato a voler essere parte degli Studios. Mentre si apprendono i passaggi per disegnare questi personaggi, si scopre anche che gli artisti hanno tutti una storia unica da raccontare su come sono arrivati in Disney e sul personaggio che hanno scelto

29 aprile

Dollface. Seconda stagione. (Qui vi parlavamo della prima). Jules e le sue amiche, dopo la pandemia e dopo le sofferenze in amore, stanno per compiere 30 anni.

La vita nascosta – Hidden Life (2019). Il film scritto e diretto da Terrence Malick, basato su eventi realmente accaduti, è la storia di un eroe dimenticato, Franz Jägerstätter, che si rifiutò di combattere per i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

DISNEY+ La vita nascosta – Hidden Life

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Le mie fiabe sottosopra: la rilettura degli stereotipi

Le mie fiabe sottosopra di Giobi, edito da Edizioni Sonda, è una riflessione dedicata alle bambine del nuovo millennio: quando a leggerlo è una persona adulta (come me in questo caso), l’effetto è quello di far parte di un nuovo movimento che finalmente si inserisce nelle classiche letture per mescolare un po’ le carte, e destrutturare archetipi e topoi dando spazio a lettrici (e lettori) reali.

Mi spiego meglio, il libro di Giobi, pseudonimo di Giovanna Buonocore, è quello che avrei voluto leggere a otto anni, quando la voglia di modificare alcune cose presenti nelle fiabe lette ad alta voce era solo un gioco immaginario.

Ritoccare le fiabe

Chi dice di non amare le fiabe sta sicuramente mentendo, ognuno di noi le ha ascoltate sognante o lette immedesimandosi almeno una volta nei personaggi. Qualcosa però suonava sempre leggermente stonata, in particolare per quello che riguarda la femminilità narrata. In particolare, a destare l’attenzione dell’autrice sono le principesse, protagoniste costanti, tutte bellissime e, in fondo, tutte un po’ uguali.

Attraverso gli occhi di Alice, una narratrice bambina che come tante altre potrebbe essere appassionata di storie, le fiabe vengono effettivamente ribaltate. Da quelle più conosciute, come La Bella Addormentata nel Bosco o Cenerentola, a quelle rielaborate più di recente dal cinema di animazione, come Mulan o Il Principe Ranocchio: in ognuna di esse ci sono dettagli che non tornano, o perlomeno che risultano rigidi ed errati, alla luce di un nuovo tipo di consapevolezza.

Conoscere il passato per riscriverne il finale

Vale veramente la pena per la Bella imprigionata nel castello della Bestia innamorarsi di lui ed accontentarsi rinunciando alla libertà? E perché la Principessa sul pisello dovrebbe passare quello sciocco test per dimostrare che è una “vera” principessa? Come può un principe decidere di sposare una donna che conosce da poche ore?

Con una giocosa ironia e una serie di illustrazioni adorabili, Giobi pone queste domande alle lettrici e ai lettori, facendo luce su elementi spesso dati per scontato ma ancora potenti nella concezione di certi comportamenti.

Il dettaglio in più:

La lettura di Le mie fiabe sottosopra richiede la partecipazione diretta di chi legge: ci sono pagine in cui è possibile “riscrivere il proprio finale”, oppure annotare i propri sogni sul futuro e sull’importanza dei ruoli femminili nella propria famiglia. Vi assicuro che anche passati i dieci anni la tentazione di riscrivere il proprio finale è irresistibile.

Qui il link per scoprirne di più, qui il sito ufficiale di Edizioni Sonda, che ringrazio per avermi dato l’opportunità di leggere Le mie fiabe sottosopra.

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Full Time – Al cento per cento. Un thriller della (assurda) normalità

Laure Calamy in Full Time - Al cento per cento. Credits: I Wonder Pictures.
Laure Calamy in Full Time - Al cento per cento. Credits: I Wonder Pictures.

Dal 31 marzo finalmente in sala per I Wonder Pictures Full Time – Al cento per cento. Ovvero, À plein temps, il lungometraggio di Éric Gravel rivelazione a Venezia 78, sezione Orizzonti, dove ha vinto il premio per la regia e la straordinaria performance di Laure Calamy. È lei al centro di questo vero e proprio thriller della quotidianità di una madre separata.

Quella di Julie (Calamy) è infatti una costante corsa contro il tempo, per conciliare il lavoro da cameriera in un hotel a 5 stelle di Parigi e la cura dei due figli piccoli che abitano fuori città. Impresa tanto più ardua con l’ondata di proteste e relativo sciopero dei mezzi che paralizza la città.

La speranza, nel frattempo, è quella di tornare al precedente impiego, perso a causa della crisi economica. Tra umiliazioni e miserie dentro e fuori le camere dei ricchi, vicine-babysitter sempre più insofferenti e autostop per strade in preda al caos, la routine di questa eroina della (assurda) normalità è sempre più stretta tra implosione emotiva ed esplosione degli eventi.

Il cinema sociale che denuncia le diseguaglianze oscene della nostra società (quello dei Loach e dei Guédiguian) incontra allora il ritmo frenetico di un film d’azione. E la posta in gioco, per la protagonista, non è solo tenere insieme i pezzi di un equilibrio sempre più precario e posticcio. Ma è anche, forse soprattutto, conservare un barlume della propria vitalità di donna in grado di amare e di lottare, per gli altri e soprattutto per se stessa.

Quella che riesce perfettamente a restituire Calamy, nel turbinio sincopato di azioni, reazioni ed emozioni espresse e compresse, celate e rivendicate. Perché forse, nel furto generalizzato di diritti, l’attaccamento alla vita di Julie è l’unica cosa che non le potranno mai togliere.

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LAMB | La Natura indomabile, tra mito e realtà

LAMB
Noomi Rapace in LAMB di Valdimar Jóhannsson - PhotoCredit: Lilja Jóns© Go to Sheep 2021

Il Premio all’Originalità vinto nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2021 già anticipa appieno l’essenza di Lamb. Un cinema visionario che affonda le sue radici nel mito e nel folklore islandese per raccontare una storia universale, dell’uomo contro la Natura.

È impossibile non farsi ammaliare dall’opera di Valdimar Jóhannson, già presentata dall’Islanda agli Oscar 2022 e acquistata da una distribuzione statunitense fondamentale e innovativa come A24. In Italia arriva nelle sale il 31 marzo con Wanted Cinema, ma abbiamo avuto l’occasione di guardarlo in anteprima grazie ad Alice nella città.

La trama

In una cupa notte di Natale, una presenza oscura e misteriosa si aggira per un ovile. Sentiamo il suo respiro, affannato e bestiale ed è con la percezione della sua invisibile minaccia che Lamb ha inizio.

A pochi passi, ignari di tutto, Maria (Noomi Rapace) e Ingvar (Hilmir Snær Guðnason), la coppia di allevatori protagonista, cenano racchiusi nella propria solitudine. In una casa così silenziosa che gli unici rumori percepibili sono i passi felpati del gatto. Si amano, Maria e Ingvar, ma una perdita troppo grande li ha allontanati e resi presenze vuote l’uno nella vita dell’altra. La visita della misteriosa bestia porta però dietro di sé un dono: un neonato, metà agnello metà bambina, partorito da una delle loro pecore e adottato dalla coppia come promessa di nuova felicità.

Ada, questo il nome dato alla creatura, è un’anomalia che sa a tratti di miracolo, a tratti di maledizione. Dolcissima e mostruosa al tempo stesso, come mostruoso è l’Essere che l’ha portata al mondo, personificazione di una Natura che non conosce ragioni umane.

È un surrogato in cui Maria e Ingvar ripongono temporaneamente l’illusione di tornare alla gioia del passato, pur sapendo di compiere un oltraggio, una sfida al sovrannaturale.

LAMB
LAMB di Valdimar Jóhannsson © Go to Sheep 2021

La poesia visuale di Lamb

Dal punto di vista formale, Lamb ricerca un’estetica evocativa, un’atmosfera rarefatta, in netto contrasto con la concretezza della vita di campagna. Aiuta, certamente, l’ambientazione nell’entroterra islandese, tra montagne imponenti, vallate verdissime e chilometri di spazi aperti e incontaminati in cui la fattoria di Maria e Ingvar è l’unico segno di presenza umana.

In questo luogo/non-luogo sospeso (memorabili le sequenze dentro la nebbia) è come se tutto fosse possibile, anche ciò che oltrepassa la razionalità. Non è un caso, a questo proposito, che nel film i dialoghi siano rari e scarni. E non è infatti la parola, non è la logica, lo strumento che serve per entrare in contatto con Lamb.

Valdimar Jóhannson descrive la sua opera come un poema visuale. Una poesia visiva sulla perdita, fatta di suoni e di immagini.

Il mostro, l’orrore e la mitologia: elementi vincenti di un grande film – Spoiler

Nello spettacolo sensoriale rappresentato da Lamb, però, man mano si incastrano elementi, propriamente filmici e di sceneggiatura, che inchiodano il pubblico alla poltrona in sala. Uno di questi è l’arrivo inatteso di Petur (Björn Hlynur Haraldsson), fratello di Ingvar, che coincide con il momento di massima rottura delle leggi della natura: quando Maria uccide la pecora-madre, reclamando Ada nel mondo umano. La scelta della donna spezza irrevocabilmente un equilibrio sacro, alimentando la convinzione che qualcosa di terribile accadrà per rimediare al suo gesto. Su questa premonizione si basa così tutta la tensione successiva e crescente, fino alla rivelazione finale del mostro e al tragico epilogo, che permettono di classificare Lamb anche come un sofisticato horror.

Non temiamo di definirlo uno dei migliori film di questa stagione cinematografica.

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5 film russi contemporanei – L’importanza di non penalizzare il cinema

The Man Who Surprised Everyone (Chelovek, kotorij udivil vsekh) - Di Aleksey Chupov e Natasha Merkulova (2018)
The Man Who Surprised Everyone (Chelovek, kotorij udivil vsekh) - Di Aleksey Chupov e Natasha Merkulova (2018)

Boicottare il cinema e la cultura russi come risposta alla criminale invasione dell’Ucraina da parte dell’autocrate Vladimir Putin, sarebbe a nostro avviso assurdo, pericoloso e controproducente. Eppure, anche nell’Occidente delle democrazie liberali, una simile soluzione è stata già non solo invocata ma anche parzialmente attuata.

Dall’European Film Academy che esclude i film russi dai premi di quest’anno al nostro Belpaese che raggiunge la farsa ipotizzando la sospensione di un corso universitario su Dostoevskij, sembra purtroppo che la retorica bellicista stia mettendo in forse uno dei valori di cui (giustamente) più ci vantiamo, quello della libera espressione e circolazione delle idee.

Vi proponiamo perciò, nelle righe che seguono, solo alcuni consigli di visione, tra i tanti possibili, che ci ricordano di come il cinema russo degli ultimi vent’anni (quelli del nefasto regime putiniano) sia stato tutt’altro che una mera espressione del suo governo. Film e registi che hanno denunciato la barbarie della guerra (anche di casa loro), l’oppressione delle donne, della comunità LGBTQ+ e altro ancora.

Opere capaci di restituirci la complessità della società russa odierna e la dignità del suo popolo, al di là di semplificazioni e caricature. Autori e autrici testimoni di un fermento creativo che l’autoritarismo non ha soffocato. Sarebbe assurdo che lo facessimo proprio noi, isolandoli o esigendo patenti politiche mai pretese per artisti di potenze non meno bellicose e governi non meno oscurantisti.

Perché se c’è una cosa che potrà contribuire alla pace, riteniamo, è proprio la propagazione di idee, parole e visioni che si contrappongano alla morte reale e simbolica di questi tempi drammatici.

1La casa dei matti (Dom Durakov) – Di Andrej Končalovskij (2002)

La “casa dei matti” del titolo è un ospedale psichiatrico in Inguscezia, durante la guerra russo-cecena del 1996. Il conflitto sconvolge la routine dei pazienti, con la fuga del personale sanitario sotto i bombardamenti e poi l’occupazione della struttura da parte dei guerriglieri ceceni. E una paziente, Zhanna (Yuliya Vysotskaya), che nel suo mondo immaginario vive una storia romantica col cantante Bryan Adams, s’innamorerà di uno di loro.

Un film che è valso il (primo) Leone d’argento al regista Andrej Končalovskij, già allievo di Tarkovskij ma anche cineasta a Hollywood (suo l’ottimo thriller A 30 secondi dalla fine). Tornato in patria dopo la fine dell’URSS, vi ha portato avanti la sua poetica sovente critica di ogni autoritarismo e tesa ad affermare la forza dell’animo umano. Che risalta tanto più nei memorabili protagonisti de La casa dei matti, emblema delle prime vittime di qualsiasi guerra, ovvero gli emarginati di ogni società e schieramento.

Ma non ci sono facili pietismi o ipocriti paternalismi nel film, la cui vitalità espressiva rispecchia quella interiore dei personaggi (alcuni dei quali interpretati da veri pazienti psichiatrici). Una vitalità che rielabora felicemente l’estetica postmoderna degli anni ’90 e primi Duemila (tra videoclip, soluzioni da Dogma 95 e squarci metafilmici), infondendole tra ironia e malinconia l’afflato umanistico della miglior cultura russa.

2 – Spose celestiali dei Mari di pianura (Nebesnye Zeny Lugovykh Mari) – Di Aleksey Fedorchenko (2012)

Emblematico, visionario: Spose celestiali dei Mari di pianura conquista con la sua carica fortemente evocativa, frutto di un grande lavoro estetico sulle immagini, quadri iconici di un passato sciolto nel presente. Il film raccoglie ventitré storie, più o meno lunghe, provenienti dalla cultura, dal folklore e dalle tradizioni del popolo dei Mari (etnia proveniente dagli Urali), condensando gli aneddoti alla loro religione di tipo pagano.

La centralità del femminile scandisce l’andamento della multinarrazione che attrae come un vortice magico di antropologia e fantasia. Le donne ne sono protagoniste e vittime, oggetto del desiderio o presenza sovrannaturale: i loro nomi, tutti inizianti per O, danno il titolo ai vari episodi del film. Fedorchenko riesce a rappresentare il fascino della cultura di un popolo attraverso un mondo immaginifico che spiazza e strega lo spettatore.

3 – Angeli della Rivoluzione (Angely revolucii) – Di Aleksey Fedorchenko (2014)

Sempre di Aleksey Fedorchenko, Angeli della Rivoluzione è un film che si esprime attraverso “quadri” di rara bellezza e cinematografiche, illuminate, geometrie. Con un linguaggio che trascende quasi il cinema stesso per traslarsi in teatro, musica, avanguardia, il film racconta lo scontro tra due culture: quella delle popolazioni rurali e indigene Khanty e Nenets e quella degli inviati “speciali” del governo sovietico.

Nella Mosca del 1934 l’ex combattente Polina “la Rivoluzionaria”, viene mandata a convincere tali popolazioni ad aderire all’ideologia comunista. Assieme a lei una squadra di altri cinque ex-combattenti, diventati tutti esponenti dell’avanguardia russa. Sono un musicista, un regista di teatro, uno scultore, un architetto costruttivista e un regista. Il regista ci regala un’opera che rilegge uno scontro tra culture e il tempo storico che gli fa da cornice. Ancora una volta la potenza del folklore si scontra con i traguardi della contemporaneità, donando una riflessione poetica che incanta lo sguardo, per ricadere drammaticamente dell’incongruenza di un conflitto insanabile.

4 – Tesnota – Di Kantemir Balagov (2017)

Tesnota (Closeness) è un’opera prima carica di forza emotiva ed estetica. Vincitore a Cannes 2017 del Premio della critica, il film di Balagov (allievo di Sokurov) è “sporco”, diretto, la storia che vuole raccontare è tragica e rumorosa e si evolve come se vivesse di vita propria e non fosse il risultato di un soggetto di finzione, come se volesse travalicare quel formato 4:3 imposto come una cornice limitante.

Girato nella repubblica autonoma di Kabardino-Balkaria, alle pendici del Caucaso, nella Russia sudoccidentale (luogo caro al regista), il film è ambientato nel 1998, la protagonista, Ilana, ha 24 anni e la sua vita sarà oggetto di una pericolosa negoziazione: poco dopo la celebrazione del fidanzamento di suo fratello minore, David, la giovane coppia viene rapita. Appartenenti alla comunità ebraica, entrambe le famiglie cercano di raccogliere i soldi per il riscatto evitando di chiamare le autorità locali. Ma il sacrificio più grande verrà preteso da Ilana, proprio dalla sua famiglia, sarà allora che la ragazza deciderà di reagire in base alle proprie regole.

Agli albori della Seconda Guerra Cecena, Balagov mette in scena quegli anni ’90 persi in luoghi vastissimi eppure soffocanti, attraverso l’intraprendenza di una giovane donna che tenta di sfuggire ad un triste futuro già pianificato ribellandosi con una forza malata che riflette tutto ciò che vive.

5 – The Man Who Surprised Everyone (Chelovek, kotorij udivil vsekh) – Di Aleksey Chupov e Natasha Merkulova (2018)

Tra i più validi cineasti russi emersi nell’ultimo decennio, Natasha Merkulova e Aleksey Chupov si sono rivelati a Venezia 2018 (sezione Orizzonti) con The Man Who Surprised Everyone, che affronta il nodo dell’identità di genere. Tanto più coraggiosamente, in un Paese dove omofobia e transfobia sono avallate e promosse dallo stesso governo in carica.

Una fiaba straniante e dolorosa ambientata in un villaggio della Siberia, dove Egor, guardia forestale, marito e padre sconvolto dalla notizia della sua malattia terminale, compie una scelta che gli attira lo stupore, il rifiuto e l’odio dei compaesani. Ma forse, come gli ha suggerito una maga, è l’unica possibilità che gli rimane per ingannare la morte, rinascendo.

Merkulova e Chupov hanno proseguito il loro viaggio critico nella coscienza del popolo russo con Captain Volkonogov Escaped (Kapitan Volkogonov bežal, 2021), in concorso a Venezia 78. Una parabola sulla crisi e il tentativo di redenzione di un capitano della sicurezza nazionale nell’URSS delle purghe staliniane. Chissà se, e quando, potremo (ri)vederlo da noi. Speriamo prima possibile, e speriamo che il cinema russo e i suoi artisti non vadano annoverati tra le vittime di questa orrenda guerra.

La selezione e l’articolo sono a cura di Emanuele BucciSilvia Pezzopane.

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Il premio. Un’occasione per ritrovare il grande Gigi Proietti in una commedia che affronta le relazioni in famiglia. Con Anna Foglietta, Alessandro Gassman e Matilda De Angelis.

8 aprile

Élite – Stagione 5 – Continuano i misteri della celebre serie spagnola

Metal Lords. Adolescenti poco popolari al liceo si dedicano alla musica metal per farsi largo a scuola.

15 aprile

Young Sheldon. Le prime quattro stagioni del prequel di The Big Bang Theory

16 aprile

Venom: la furia di Carnage. Criticatissimo film dell’universo parallelo Marvel, di cui abbiamo parlato qui.

19 aprile

Better Call Saul – Stagione 6, parte 1. Spin off della celebre serie Breaking Bad, non serve dire molto altro, no?

20 aprile

Russian Doll – Stagione 2. Non vediamo l’ora di tornare nel loop infernale di Nadia (Natasha Lyonne)! Una serie geniale, che ci era mancata tantissimo.

22 aprile

Heartstopper. Coming of age che racconta la storia di Charlie e Nick, che scoprono che la loro amicizia potrebbe diventare qualcosa di più e si destreggiano tra l’amore e la scuola

29 aprile

Ozark – Stagione 4, parte 2. Ancora una delle serie più premiate e apprezzate di Netflix.

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Cosa guardare in sala ad aprile 2022

Joaquin Phoenix, Woody Norman, Courtesy A24

C’mon C’mon di Mike Mills

What will stay with you and what will you forget? What scares you? What makes you angry? Do you feel lonely? What makes you happy? Mike Mills si racconta come filmmaker attraverso il personaggio di Johnny (Joaquin Phoenix). Racconta come chi tiene in mano una camera o un microfono si impossessi per un attimo delle vite altrui, vi entri e le scuota, a volte, con le domande che spesso non si ha il coraggio di porsi da soli. Lo fa però scegliendo un punto di vista specifico, quello dei bambini e la loro naturale propensione al futuro. E lo fa esplorando un’eccentrica relazione di genitorialità grazie allo straordinario co-protagonista, Woody Norman (Jesse). In sala dal 7 aprile.

La figlia oscura di Maggie Gyllenhaal

Tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal esplora una maternità tormentata e fuori dai canoni. Sia Olivia Colman sia Jessie Buckley hanno conquistato per questo film la nomination agli Oscar. In sala dal 7 aprile.

Animali fantastici 3: i segreti di Silente di David Yates

Forse di questo terzo capitolo si ricorderà solo che Mads Mikkelsen ha rimpiazzato Johnny Depp nel ruolo di Grindelwald. La saga degli Animali Fantastici non sembra ancora carburare, ma la tentazione di tornare alle atmosfere di Hogwarts è troppo forte per lasciare del tutto andare il Wizarding World. In sala dal 14 aprile.

Storia di mia moglie di Ildikó Enyedi

Primo film in lingua inglese di Ildikó Enyedi, è l’adattamento del romanzo di Milán Füst, è interpretato da Léa Seydoux, Gijs Naber, Louis Garrel, Sergio Rubini e Jasmine Trinca. In sala dal 14 aprile.

Una madre, una figlia (Lingui) di Mahamat-Saleh Haroun

Storia del legame sacro, così come tradotto letteralmente, tra madre e figlia, tra donne, tra sorelle che lottano per sopravvivere in un mondo di uomini.14 aprile

Sundown di Michel Franco

Un lutto improvviso costringe Neil (Tim Roth) a ripensare la propria vita e capire come affrontare le responsabilità che lo attendono al rientro a casa, in Inghilterra. Un film sulle seconde occasioni. In sala dal 14 aprile.

The Lost City di Aaron e Adam Nee

Forse l’ultimo film con Sandra Bullock per un po’, a causa del suo temporaneo ritiro dalle scene. Una love story che si intreccia con l’action e che riporta sullo schermo anche Channing Tatum e Daniel Radcliffe. In sala dal 21 aprile.

The Northman di Robert Eggers

Lo attendiamo da circa due anni, questo adattamento di Amleto fra i ghiacci scandinavi. Con Alexander e Bill Skarsgård, Nicole Kidman, Anya Taylor-Joy, Willem Dafoe e Björk. In sala dal 21 aprile.

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